Dettagli Percorso
Lunghezza
11.2km
Difficoltà
E
Durata
3h 15min
Dislivello +
477m
Dislivello -
478m
Quota di partenza
249m
Quota di arrivo
248m
Quota minima
152m
Quota massima
401m
Artimino
Il nome ha una probabile origine etrusca e dovrebbe derivare da Artemium, tempio di Artemide (Artume). Potrebbe avere un rapporto anche con il nome etrusco Aritma. Superata è invece l’etimologia proposta nel XIX secolo che faceva derivare il nome da una caratteristica fisica del luogo: actus minor che significa stretto minore riferito alla stretta della Gonfolina, sottostante all’altura di Artimino, che si protende come un promontorio verso l’Arno
Si ha notizia di vari rinvenimenti etruschi ad Artimino fin dal XVIII secolo. A partire dagli anni ’60 sono state rinvenute nel territorio varie testimonianze archeologiche che attestano come ad Artimino fosse presente un insediamento urbano etrusco, piuttosto importante; questo almeno secondo le risultanza della campagna di scavi condotta nelle immediate vicinanze del paese; l’abitato, dotato anche di una zona sacra, messa in luce nei pressi della “Paggeria” medicea, era probabilmente organizzato intorno ad una specie di decumano corrispondente al crinale che collega il borgo murato con la villa medicea. Da notare come il colle su cui sorse la villa fosse conosciuto come “Artimino vecchio”, suggerendo la presenza di antiche vestigia.
Inoltre sono state rinvenute necropoli in diverse aree più o meno prossime tra cui la Necropoli di Prato Rosello con tombe piuttosto ben conservate, nelle quali sono stati ritrovati importanti reperti custoditi nel Museo Archeologico di Artimino. Comunque il centro urbano doveva essere il punto di riferimento di una più vasta area, visti anche i ritrovamenti di Comeana (Tombe di Boschetti e Tumulo di Montefortini), Montereggi (presso Limite sull’Arno) e Pietramarina (santuario extraurbano e mura di fortificazione sulla vetta del Montalbano).
La presenza di una città etrusca ad Artimino rende evidente l’importanza di quest’area per i rapporti Nord-Sud, tra Tuscia vera e propria e gli insediamenti sub-appenninici e oltre, fino a Marzabotto, tramite l’area di Pistoia, e il valico di Porretta. La scoperta della città etrusca di Gonfienti presso Prato, dovrà fare ripensare globalmente al sistema territoriale della presenza etrusca a nord dell’Arno, che sembra assumere un’importanza non solamente locale ma estendersi su tutti i margini della piana Firenze-Prato-Pistoia (Sesto Fiorentino, Gonfienti, Fiesole, Artimino, Comeana).
Nel medioevo è documentato un castello fin dal 1026, all’interno delle cui mura, ancora esistenti insieme ad alcune delle torri (anche se forse rimaneggiate), è nato l’attuale abitato.
La storica Pieve di San Leonardo è sorta invece fuori dalle mura, piuttosto lontana dall’abitato, come del resto era comune all’epoca, in cui l’organizzazione territoriale in Toscana era caratterizzata da insediamenti sparsi e da centri di potere distinti: castello e pieve. La presenza della pieve, è documentata a partire dal 998 quando in un diploma di Ottone III tra i privilegi del vescovo di Pistoia compare in elenco anche “… plebs…. in Artimino”.
Nei dintorni di Artimino troviamo un’altra chiesa romanica: quella di San Martino in Campo, attualmente posta nel comune di Capraia e Limite. La chiesa, appartenente ad un complesso monastico, si trova sul margine del bosco, non lontana dal crinale del Montalbano e non era nata come pieve o chiesa suffraganea, bensì ospizio o ospedale per viandanti, così come San Giusto al Montalbano, attestando così una viabilità altomedievale coincidente con il crinale del Montalbano e congiungente l’area della Gonfolina con l’area sub-appenninica pistoiese ed oltre verso nord.
Nel XII e XIV secolo Artimino era un comune rurale con propri statuti e propri confini, inizialmente appartenente al contado pistoiese. Facendo parte del sistema difensivo di Pistoia, di cui costituiva un avamposto di confine, fu oggetto, insieme all’altro comune rurale di Carmignano, di un’aspra contesa tra Pistoia e Firenze che sul volgere del XIV secolo avrà definitivamente il sopravvento dopo aver rischiato di soccombere sotto i colpi di Castruccio Castracani che guerreggiò a lungo nei dintorni. Conquistato e perso dai fiorentini nel 1204 e nel 1225 (in quella occasione furono distrutte le mura). riconquistato e nuovamente fortificati da Castruccio, Artimino fu nuovamente assediato e preso dai fiorentini, nel 1327.
Dopo la pace del 1330, Artimino fu stabilmente incorporato, dal 1347, nel dominio fiorentino pur rimanendo, a tutt’oggi, nella diocesi pistoiese. La famiglia di maggior rilievo del borgo, i Ricciardi, si trasferì in Firenze; in seguito le loro terre ad Artimino verranno acquistate dai Medici. Dopo la stessa epoca si aggiunse al sigillo comunale, il giglio di Firenze sopra il drago marino.
Le istituzioni comunali si conservarono anche nel XV secolo. Nel 1559, ai tempi di Cosimo I furono anche riformati gli statuti comunali.
Comunque, dopo un lungo periodo di declino dell’antico comune, la costruzione della Villa Medicea La Ferdinanda rappresentò un mutamento territoriale radicale, visto che i Granduchi, che soggiornavano molto spesso ad Artimino, di fatto trasformarono l’intero borgo in annesso di servizio della Villa e istituirono la bandita del Barco reale, un grandissimo recinto murato destinato alla caccia di cui rimangono numerosi tratti di muro mediceo.
Buona parte delle abitazioni del borgo diventarono tra il XVII e il XVIII secolo di proprietà granducale, e alle mura furono addossate le scuderie della villa (meno grandiose di quelle di Poggio a Caiano) che, dopo un intervento di recupero, accolgono attualmente il Museo archeologico.
Nel periodo lorenese, visto che la villa rimaneva del tutto inutilizzata dalla corte, il Granduca Leopoldo I alienò la villa e tutti i possedimenti del poggio di Artimino al marchese Bartolomei.
Artimino

Il nome ha una probabile origine etrusca e dovrebbe derivare da Artemium, tempio di Artemide (Artume). Potrebbe avere un rapporto anche con il nome etrusco Aritma. Superata è invece l’etimologia proposta nel XIX secolo che faceva derivare il nome da una caratteristica fisica del luogo: actus minor che significa stretto minore riferito alla stretta della Gonfolina, sottostante all’altura di Artimino, che si protende come un promontorio verso l’Arno
Si ha notizia di vari rinvenimenti etruschi ad Artimino fin dal XVIII secolo. A partire dagli anni ’60 sono state rinvenute nel territorio varie testimonianze archeologiche che attestano come ad Artimino fosse presente un insediamento urbano etrusco, piuttosto importante; questo almeno secondo le risultanza della campagna di scavi condotta nelle immediate vicinanze del paese; l’abitato, dotato anche di una zona sacra, messa in luce nei pressi della “Paggeria” medicea, era probabilmente organizzato intorno ad una specie di decumano corrispondente al crinale che collega il borgo murato con la villa medicea. Da notare come il colle su cui sorse la villa fosse conosciuto come “Artimino vecchio”, suggerendo la presenza di antiche vestigia.
Inoltre sono state rinvenute necropoli in diverse aree più o meno prossime tra cui la Necropoli di Prato Rosello con tombe piuttosto ben conservate, nelle quali sono stati ritrovati importanti reperti custoditi nel Museo Archeologico di Artimino. Comunque il centro urbano doveva essere il punto di riferimento di una più vasta area, visti anche i ritrovamenti di Comeana (Tombe di Boschetti e Tumulo di Montefortini), Montereggi (presso Limite sull’Arno) e Pietramarina (santuario extraurbano e mura di fortificazione sulla vetta del Montalbano).
La presenza di una città etrusca ad Artimino rende evidente l’importanza di quest’area per i rapporti Nord-Sud, tra Tuscia vera e propria e gli insediamenti sub-appenninici e oltre, fino a Marzabotto, tramite l’area di Pistoia, e il valico di Porretta. La scoperta della città etrusca di Gonfienti presso Prato, dovrà fare ripensare globalmente al sistema territoriale della presenza etrusca a nord dell’Arno, che sembra assumere un’importanza non solamente locale ma estendersi su tutti i margini della piana Firenze-Prato-Pistoia (Sesto Fiorentino, Gonfienti, Fiesole, Artimino, Comeana).
Nel medioevo è documentato un castello fin dal 1026, all’interno delle cui mura, ancora esistenti insieme ad alcune delle torri (anche se forse rimaneggiate), è nato l’attuale abitato.
La storica Pieve di San Leonardo è sorta invece fuori dalle mura, piuttosto lontana dall’abitato, come del resto era comune all’epoca, in cui l’organizzazione territoriale in Toscana era caratterizzata da insediamenti sparsi e da centri di potere distinti: castello e pieve. La presenza della pieve, è documentata a partire dal 998 quando in un diploma di Ottone III tra i privilegi del vescovo di Pistoia compare in elenco anche “… plebs…. in Artimino”.
Nei dintorni di Artimino troviamo un’altra chiesa romanica: quella di San Martino in Campo, attualmente posta nel comune di Capraia e Limite. La chiesa, appartenente ad un complesso monastico, si trova sul margine del bosco, non lontana dal crinale del Montalbano e non era nata come pieve o chiesa suffraganea, bensì ospizio o ospedale per viandanti, così come San Giusto al Montalbano, attestando così una viabilità altomedievale coincidente con il crinale del Montalbano e congiungente l’area della Gonfolina con l’area sub-appenninica pistoiese ed oltre verso nord.
Nel XII e XIV secolo Artimino era un comune rurale con propri statuti e propri confini, inizialmente appartenente al contado pistoiese. Facendo parte del sistema difensivo di Pistoia, di cui costituiva un avamposto di confine, fu oggetto, insieme all’altro comune rurale di Carmignano, di un’aspra contesa tra Pistoia e Firenze che sul volgere del XIV secolo avrà definitivamente il sopravvento dopo aver rischiato di soccombere sotto i colpi di Castruccio Castracani che guerreggiò a lungo nei dintorni. Conquistato e perso dai fiorentini nel 1204 e nel 1225 (in quella occasione furono distrutte le mura). riconquistato e nuovamente fortificati da Castruccio, Artimino fu nuovamente assediato e preso dai fiorentini, nel 1327.
Dopo la pace del 1330, Artimino fu stabilmente incorporato, dal 1347, nel dominio fiorentino pur rimanendo, a tutt’oggi, nella diocesi pistoiese. La famiglia di maggior rilievo del borgo, i Ricciardi, si trasferì in Firenze; in seguito le loro terre ad Artimino verranno acquistate dai Medici. Dopo la stessa epoca si aggiunse al sigillo comunale, il giglio di Firenze sopra il drago marino.
Le istituzioni comunali si conservarono anche nel XV secolo. Nel 1559, ai tempi di Cosimo I furono anche riformati gli statuti comunali.
Comunque, dopo un lungo periodo di declino dell’antico comune, la costruzione della Villa Medicea La Ferdinanda rappresentò un mutamento territoriale radicale, visto che i Granduchi, che soggiornavano molto spesso ad Artimino, di fatto trasformarono l’intero borgo in annesso di servizio della Villa e istituirono la bandita del Barco reale, un grandissimo recinto murato destinato alla caccia di cui rimangono numerosi tratti di muro mediceo.
Buona parte delle abitazioni del borgo diventarono tra il XVII e il XVIII secolo di proprietà granducale, e alle mura furono addossate le scuderie della villa (meno grandiose di quelle di Poggio a Caiano) che, dopo un intervento di recupero, accolgono attualmente il Museo archeologico.
Nel periodo lorenese, visto che la villa rimaneva del tutto inutilizzata dalla corte, il Granduca Leopoldo I alienò la villa e tutti i possedimenti del poggio di Artimino al marchese Bartolomei.
Villa medicea La Ferdinanda
Il progetto fu affidato all’architetto di corte Bernardo Buontalenti (1536+1608) e l’edificio fu completato in soli quattro anni, dal 1596 al 1600. Dopo alterne vicende, la villa, poco frequentata da Ferdinando I e dai suoi successori e pressoché abbandonata dai Lorena, fu venduta nel 1782 ai marchesi Bartolomei. Poi passò in eredità ai Passerini che la cedettero nel 1911 ai Maraini, cui si devono vari interventi di restauro. Alla fine degli anni Cinquanta fu acquistata da Emilio Riva che la spogliò della mobilia interna, vendendola all’asta. Dal 1970 la villa è di proprietà della Artimino s.p.a. ed ospita convegni, cerimonie ed altri eventi; dal 1983 al 2011 nei sotterranei ha ospitato il Museo Archeologico Comunale, recentemente trasferito nei locali del Borgo.
L’esterno – con i quattro avancorpi angolari e la struttura estremamente semplice – ricorda un edificio di carattere difensivo-militare, una sorta di castello-fortezza. La pianta è rettangolare. Il piano terreno, con i suoi grandi portoni che si aprono sui lati lunghi (uno sulla attuale facciata principale e l’altro sul retro), consentiva l’accesso ai cavalli e alle carrozze. Qui si trovavano anche l’armeria e le cantine. Dal piano interrato un corridoio scavato nella roccia conduceva ad un’uscita segreta lontana dalla villa. Lo scalone esterno – completato con le due rampe laterali a tenaglia soltanto nel 1930 sulla base dei disegni del Buontalenti – consente la salita al piano nobile e alla loggia sostenuta da quattro colonne tuscaniche (che a loro volta sorreggono un timpano in cui è inserito un busto di Ferdinando I) e decorata con affreschi rappresentanti le “Allegorie”, realizzati nel 1599 da Domenico Cresti, detto il Passignano (1559-1638), cui si deve anche la decorazione di alcuni ambienti interni.
L’interno della villa per volere di Ferdinando I non ricevette una decorazione eccessiva. Piuttosto preziosi e ricchi dovevano essere, invece, gli arredi. Tra gli ambienti interni sono da segnalare la piccola Cappella, interamente decorata dal Passignano; il salone dell’Orso che conteneva le tele di Giusto Utens (1599-1601), collocate nelle lunette, riproducenti le diverse Ville medicee; l’appartamento di Cristina di Lorena, costituito da tre ampie sale da una delle quali si accede allo Stanzino del Poggiale, una piccola stanza da bagno completamente affrescata.
L’edificio è noto anche come “Villa dei cento camini” per la presenza di numerosi comignoli sul tetto, uno diverso dall’altro, tanti quanti sono le stanze interne, che dovevano essere riscaldate durante le cacce invernali.
La villa comprende anche due strutture staccate dal suo corpo principale: un edificio che ospita oggi un ristorante, ma che era in origine l’abitazione del primo maggiordomo di Ferdinando I, tale Biagio Pignatta, e la Paggeria, dimora della servitù, oggi adibita ad albergo.
Villa medicea La Ferdinanda

Il progetto fu affidato all’architetto di corte Bernardo Buontalenti (1536+1608) e l’edificio fu completato in soli quattro anni, dal 1596 al 1600. Dopo alterne vicende, la villa, poco frequentata da Ferdinando I e dai suoi successori e pressoché abbandonata dai Lorena, fu venduta nel 1782 ai marchesi Bartolomei. Poi passò in eredità ai Passerini che la cedettero nel 1911 ai Maraini, cui si devono vari interventi di restauro. Alla fine degli anni Cinquanta fu acquistata da Emilio Riva che la spogliò della mobilia interna, vendendola all’asta. Dal 1970 la villa è di proprietà della Artimino s.p.a. ed ospita convegni, cerimonie ed altri eventi; dal 1983 al 2011 nei sotterranei ha ospitato il Museo Archeologico Comunale, recentemente trasferito nei locali del Borgo.
L’esterno – con i quattro avancorpi angolari e la struttura estremamente semplice – ricorda un edificio di carattere difensivo-militare, una sorta di castello-fortezza. La pianta è rettangolare. Il piano terreno, con i suoi grandi portoni che si aprono sui lati lunghi (uno sulla attuale facciata principale e l’altro sul retro), consentiva l’accesso ai cavalli e alle carrozze. Qui si trovavano anche l’armeria e le cantine. Dal piano interrato un corridoio scavato nella roccia conduceva ad un’uscita segreta lontana dalla villa. Lo scalone esterno – completato con le due rampe laterali a tenaglia soltanto nel 1930 sulla base dei disegni del Buontalenti – consente la salita al piano nobile e alla loggia sostenuta da quattro colonne tuscaniche (che a loro volta sorreggono un timpano in cui è inserito un busto di Ferdinando I) e decorata con affreschi rappresentanti le “Allegorie”, realizzati nel 1599 da Domenico Cresti, detto il Passignano (1559-1638), cui si deve anche la decorazione di alcuni ambienti interni.
L’interno della villa per volere di Ferdinando I non ricevette una decorazione eccessiva. Piuttosto preziosi e ricchi dovevano essere, invece, gli arredi. Tra gli ambienti interni sono da segnalare la piccola Cappella, interamente decorata dal Passignano; il salone dell’Orso che conteneva le tele di Giusto Utens (1599-1601), collocate nelle lunette, riproducenti le diverse Ville medicee; l’appartamento di Cristina di Lorena, costituito da tre ampie sale da una delle quali si accede allo Stanzino del Poggiale, una piccola stanza da bagno completamente affrescata.
L’edificio è noto anche come “Villa dei cento camini” per la presenza di numerosi comignoli sul tetto, uno diverso dall’altro, tanti quanti sono le stanze interne, che dovevano essere riscaldate durante le cacce invernali.
La villa comprende anche due strutture staccate dal suo corpo principale: un edificio che ospita oggi un ristorante, ma che era in origine l’abitazione del primo maggiordomo di Ferdinando I, tale Biagio Pignatta, e la Paggeria, dimora della servitù, oggi adibita ad albergo.