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Dettagli Percorso

Lunghezza

50.1km

Difficoltà

Mc

Durata

12h 45min

Dislivello +

1286m

Dislivello -

1294m

Quota di partenza

10m

Quota di arrivo

2m

Quota minima

1m

Quota massima

460m

Pieve di S.Jacopo in Lupeta

 L’edificio   fu in origine dedicato a San Mamiliano, come ancora ricorda l’iscrizione  sull’architrave del portale principale. La dedicazione a tale santo è assai particolare, in quanto il suo culto era diffuso soprattutto nella zona dell’Arcipelago Toscano e nell’Alto Lazio, mentre nella nostra zona era del tutto assente. Documentata già nell’VIII sec. era annessa ad un complesso monastico; mentre dal XII secolo è citata come prioria, nel Trecento risultava essere in mano agli Eremitani Agostiniani. Intitolata a San Iacopo nella prima metà del Quattrocento, poco tempo dopo cominciò a decadere a causa delle continue scorrerie e della situazione insicura della zona, causate dalle guerre tra Pisa e Firenze; agli inizi del Cinquecento passò in possesso ai Canonici di Pescia. Nel corso dell’ottocento i resti dell’antico monastero vennero trasformati in una grande casa colonica, poi villa residenziale di proprietà privata.
ESTERNO
La chiesa ha pianta a tau (T) e muratura in conci di calcare cavernoso e verrucano. La facciata a capanna è spartita da una cornice orizzontale: nella parte inferiore il portale è incorniciato da lesene, una delle quali contenente una testa di animale cornuto a rilievo, ed è sovrastato da un ricco architrave decorato a spirali e foglie linguate appartenente con tutta probabilità alla chiesa più antica; in quella superiore si apre una bifora, con ghiera e colonnina marmoree, contornata da vari elementi decorativi, tra i quali spiccano una tarsia a forma di fiore, un bassorilievo ed una pietra scolpita a rilievo figurato, risalente all’VIII-IX secolo, e raffigurante una scena biblica. Attaccato al braccio sinistro del transetto si appoggia il massiccio campanile, simile nella struttura ad una torre difensiva. Il campanile fu abbassato di altezza a seguito di una mina fatta esplodere dai soldati tedeschi in ritirata, nel 1944.
INTERNO
L’interno, a navata unica e privo di abside, è mosso soltanto dai due corti bracci del transetto, collegati da archi a tutto sesto i cui pilastri hanno capitelli riccamente decorati con motivi vegetali e animali. Nel braccio destro sono conservati affreschi trecenteschi, staccati e ricomposti su tavola, raffiguranti alcuni santi; da destra verso sinistra si riconoscono: un Santo Vescovo, forse San Mamiliano, San Giovanni Battista e un frammento di un probabile San Girolamo. Lungo la parete destra sono state raccolte pietre scolpite rinvenute durante i restauri della chiesa: particolarmente significative sono una mensola con motivo a rilievo rappresentante la Dextera Domini (X secolo) e una lastra figurata con una scena simbolica di difficile interpretazione, che secondo alcuni studiosi allude alla Passione di Cristo (IX-X secolo).
LA FESTA DI S. JACOPO
Ogni anno a Vicopisano in occasione della giornata dedicata a S. Giacono o Jacopo (25 luglio) viene celebrata una festa religiosa e popolare, organizzata dalla Parrocchia e da alcune associazioni di volontariato.
La celebrazione che ha carattere sacro si sviluppa generalmente su due giornate durante le quali si tengono funzioni religiose e festeggiamenti popolari. La festa ha il sou clou con una processione religiosa notturna che va dalla Pieve di S. Maria alla Pieve di S. Jacopo, dove i fedeli partecipano alla Messa e dove di solito si tiene un concerto di musica classica.
(da Viconet.it)

Pieve di S.Maria di Vicopisano

E’ la più antica e la principale delle chiese che si trovavano nelle immediate vicinanze di Vico, ed è l’unica ad essere stata costruita all’esterno delle mura, senza l’orientamento canonico con l’ingresso rivolto ad occidente. Infatti la facciata è rivolta verso una delle porte di ingresso del castello, Porta Maccioni, poi divenuta porta della Rocca. La chiesa è nominata per la prima volta nel 934, ma da questo documento si può capire che esisteva già da qualche tempo.
LA FACCIATA E L’ESTERNO
La costruzione attuale è del XII sec. ed è un esempio ben conservato di Chiesa romanico-pisana caratterizzato da una pianta basilicale con abside unica. La muratura è realizzata in pietra verrucana e la facciata è spartita in due ordini sovrapposti da una cornice orizzontale. Nella parte superiore, decorata da archetti pensili, si apre una bifora. La parte inferiore, dove si aprono tre portali, è arricchita da semicolonne che reggono arcatelle pensili: queste ultime sono sormontate da oculi e racchiudono rombi scolpiti con motivi geometrici e vegetali. In evidenza, alla sommità della lesena di sinistra, un bassorilievo in pietra, databile all’VIII-X secolo, rappresenta probabilmente un episodio evangelico.
La fiancata meridionale, in cui si apre un unico portalino, ha in alto quattro strette monofore, di cui una decorata con un motivo a tralci di vite con foglie. Sia il fianco che l’alzato della navata centrale hanno archetti pensili che racchiudono pietre scolpite e poggiano su peducci decorati con volti umani, figure di animali e motivi naturalistici eseguiti a rilievo. Da notare una serie di iscrizioni medioevali incise nella parte bassa della muratura che denunciano la presenza in antico di un cimitero intorno alla chiesa. La fiancata settentrionale risulta invece priva di decorazioni in quanto a questa si dovevano appoggiare le strutture del chiostro e della casa del pievano. Al XVIII secolo risalgono i prolungamenti delle navate laterali e il campanile.
L’INTERNO
L’interno è suddiviso in tre navate da dodici colonne granitiche con capitelli di varia foggia: quelli medioevali sono in pietra serena; il primo, il terzo e l’ultimo di sinistra sono in marmo scolpito a foglie d’acanto, gli ultimi due poggianti su colonne marmoree scanalate, e provengono da edifici di epoca romana. Due pilastri definiscono la vasta zona presbiteriale dove si trova l’altare maggiore, ricostruito agli inizi del Novecento riutilizzando antichi rilievi con motivi vegetali e zoomorfi, probabilmente appartenenti alla chiesa altomedievale.
LA DEPOSIZIONE DELLA CROCE (SEC. XIII) 
Nell’abside è collocato il maestoso gruppo ligneo della Deposizione, risalente al primo ventennio del Duecento e con evidenti assonanze con l’altra Deposizione presente in Provincia di Pisa, quella di Volterra. Esso costituisce uno dei rari esempi di questa tipologia di sacra rappresentazione, un tempo assai diffusa, l’unico di cui si conserva la quasi totalità delle figure originarie: di restauro sono soltanto le teste degli angeli, alcune parti del San Giovanni e il calice. Sono presenti inoltre tracce dell’antica policromia delle vesti. I personaggi raffigurati sono (da sinistra a destra): la Madonna dolente, Giovanni di Arimatea che raccoglie il corpo del Cristo, il Nicodemo che toglie i chiodi dai piedi e S. Giovanni con in mano il Vangelo. Oltre ad essere uno dei pochi esemplari rimasti è uno tra i più singolari, poiché la figura di Cristo è rappresentata in una maniera inconsueta, fortemente arcuata e nell’atto di cadere, prova che l’artista che realizzò tale opera aveva abbastanza autonomia da distaccarsi da quelli che erano i modelli
consueti, cioè il Cristo ancora inchiodato alla Croce, avvicinandosi a modelli più “gotici”, con una maggiore attenzione alla linea curva e sinuosa, che va a sostituire la linea retta e la rigidità tipica dell’arte romanica.
GLI AFFRESCHI (SEC. XIII)
Le massicce pareti in verrucano conservano frammenti di affreschi duecenteschi, recentemente restaurati. Rappresentano scene tratte dal Vangelo, e testimoniano l’usanza di illustrare le Storie Sacre, per farle meglio comprenderle ai fedeli più rozzi ed illetterat (Biblia Pauperum)i. Il ciclo inizia sulla parete della navata destra, dove si riconoscono le scene della Annunciazione, della Visitazione e della Natività; segue, probabilmente, l’episodio con Erode che ordina la strage degli innocenti. Al di sopra delle scene narrative vi sono motivi decorativi a girali e a riquadri alternati a scacchi; al di sotto, decorazioni a finto drappeggio. Sulla controfacciata, a sinistra sono rappresentate due scene sovrapposte: in alto è riconoscibile il Battesimo di Cristo, al di sotto San Giorgio, il drago e la principessa; a destra le tracce recuperate dal restauro non sono leggibili. Sulla parete della navata destra sono state restaurate due scene: una raffigura forse la Cattura di Cristo, l’altra la Pentecoste. L’intero ciclo terminava con la deposizione lignea che poneva fine alla vicenda terrena di Gesù. Il ciclo di affreschi venne coperto di intonaco tra il XVI e il XVII secolo, quando alle pareti furono addossati i grandi altari in pietra serena tuttora esistenti.
(da Viconet.it)

Rocca del Brunelleschi

La città, fedele alla Repubblica Pisana, difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell’Arno, aveva resistito a nove mesi di assedio nei quali si susseguirono assalti condotti con bombarde, catapulte, torri mobili e arieti, ma alla fine si arrese per fame. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle rive dell’Arno dal quale dominavano i commerci fluviali e il vicino ramo della Via Francigena controllando i flussi dei pellegrini, dei mercanti e le prospere campagne intorno alle pendici del Monte Pisano. Con la caduta nelle mani di Firenze si pensò di rinforzare questa importante conquista per scoraggiare le mire dei vicini. Venne presa la decisione di costruire una fortezza che fosse imprendibile e scoraggiasse le insidie degli eserciti dei Visconti che da lucca minacciavano la Toscana. Il governo fiorentino commissionò al celebre architetto Filippo Brunelleschi il progetto della nuova opera difensiva. La proposta del Brunelleschi risultò subito molto innovativa: alla presentazione di fronte alla commissione governativa della quale faceva parte anche il giovane condottiero Francesco Sforza, grazie a un modello in creta e legno, il celebre architetto convinse tutti per le soluzioni innovative progettate.
Per realizzare la nuova opera l’abitato di Vicopisano fu pesantemente modificato: le chiese e i palazzi che si trovavano nell’area della sommità del colle di Vico furono in buona parte abbattuti. La fortificazione del Brunelleschi incorporò nelle nuove atrutture la pre-esistente Torre di S. Maria (del XII secolo). Quest’ultima fu trasformata nel mastio dell’attuale Rocca. La tipologia della fortezza è ancora medievale, con alte mura merlate poggiate su archetti con piombatoie per gettare pece greca infiammata e olio bollente sugli assalitori. Ma nel complessso difensivo ci sono anche molte innovazioni come l’abbondante uso di ponti levatoi destinati, quando ritirati, ad isolare le varie parti della fortezza nel caso il nemico fosse riuscito a penetrarvi. Per esempio, prima di accedere al cortile della Rocca, si doveva conquistare l’antiporta munita di Ponte levatoio e di fossato. All’interno, in caso di perdita del cortile, i difensori potevano abbattere la scala poggiata su quattro esili archi che collega il cortile col cammino di ronda delle cortine. Se il nemico fosse riuscito a giungere fin sulle cortine, la difesa si sarebbe attestata nella torre: era possibile isolare la torre dal resto della fortificazione ritirando il ponte levatoio che collega il cammino di ronda con l’unico ingresso della stessa. La torre, munita di propria cisterna e deposito di vettovaglie, poteva ancora resistere a lungo.
La soluzione più geniale ideata da Brunelleschi è sicuramente il poderoso muraglione merlato che scende dalla Rocca fino ai piedi del Colle, dove termina con l’alta torre del Soccorso (21 m) edificata nelle vicinanze dell’Arno, che in quel periodo passava proprio sotto le mura di Vicopisano. Come suggerisce il nome della torre questa opera era destinata a evitare l’isolamento in caso di assedio garantendo l’approvvigionamento di viveri, armi e rinforzi via fiume in caso di assedio.
Le barche potevano approdare in una caletta, difesa da fortificazioni oggi scomparse, scaricare uomini e polveri che venivano fatte entrare da uno stretto portello, poi risalivano al secondo piano della torre, per accedere al muraglione e salire alla Rocca. Ma il Brunelleschi aveva pensato a tutto: infatti, se il nemico fosse riuscito a conquistare la Torre del Soccorso e avesse cercato di accedere alla rocca dal muraglione, si sarebbe trovato esposto al tiro d’infilata proveniente dalla Rocca, ma soprattutto avrebbe trovato interrotto il collegamento fra il muraglione e il cammino di ronda delle cortine della Rocca da un’altro ponte levatoio, che apriva un varco di circa tre metri su uno strapiombo di quindici metri. Oggi sulla torre della rocca sventola di nuovo la bandiera pisana, ma non ci sono venti di guerra, soltanto visitatori che si arrampicano fino alla cima della fortezza per ammirare il panorama.
(da leviedelbrigante.it)

Circolo L’Ortaccio

Qui si possono trovare bibite, spuntini ed aperitivi in un ambiente aperto e rilassato

Certosa di Calci

Fu per decisione dell’arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti che il 30 maggio del 1366 venne fondata la Certosa, nella Val Graziosa di Calci.

Il convento assunse in seguito un’importanza anche politica, in particolare dopo l’annessione dell’antico monastero benedettino dell’isola di Gorgona, avvenuta nel 1425. Nella seconda metà del XV secolo, artisti fiorentini si stabilirono a Pisa per assolvere a lavori dell’Opera del Duomo. Ma è soprattutto tra Seicento e Settecento che vengono compiuti i lavori più importanti.

Si accede al complesso attraverso un vestibolo seicentesco, coronato dalla statua di San Bruno, il fondatore dell’Ordine dei Certosini; a destra si apre la cappella di Sebastiano, in origine riservata alle donne, e a sinistra la foresteria delle donne, attuale biglietteria.

L’ampia corte d’onore longitudinale introduce al santuario. Di fronte all’ingresso è il prospetto barocco della chiesa, impostata su un podio con scalinata a doppia rampa, opera dell’architetto Nicola Stassi: da notare, sulla sommità, la statua della Vergine in gloria.

L’interno, risalente al XVII secolo, è costituito da un’unica aula lungo le cui pareti sono addossati gli stalli lignei destinati ai monaci; una parete intarsiata a marmi policromi separa la zona destinata ai conversi. Sullo scorcio del Seicento inizia la decorazione pittorica parietale con le Storie del Vecchio Testamento, dei bolognesi Antonio e Giuseppe Rolli; gli affreschi della cupola sono del lucchese Stefano Cassiani, autore anche delle pitture ai lati, dietro l’altare e tra le finestre.

L’altare maggiore fu realizzato su disegno di Giovan Francesco Bergamini e terminato nel 1686 dal figlio Alessandro; vi si trova una tela di Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, con San Bruno che offre la Certosa di Pisa alla Madonna, del 1681.

Dalla chiesa si accede alla sagrestia circondata da grandi armadi a muro, alla cappella delle Reliquie e alle varie cappelle, in cui ogni monaco celebrava la messa privata quotidiana; nella cappella di San Ranieri si conserva il dipinto settecentesco del pisano Giovan Battista Tempesti, con San Ranieri, patrono di Pisa; nella cappella di San Bruno troviamo una tela raffigurante il santo, di Jacopo Vignali; la cappella della Vergine del Rosario fu invece affrescata da Giuseppe Maria Terreni alla fine del Settecento.

Tra gli ambienti più interessanti del monastero, la Foresteria Granducale, così detta perché riservata ai sovrani di Toscana, con pregevoli stucchi del Somazzi e affreschi a figure allegoriche di Pietro Giarrè. Il refettorio attuale è il risultato della trasformazione del primitivo ambiente trecentesco: tra le testimonianze più antiche, l’affresco con l’Ultima Cena, di Bernardino Poccetti (1597), mentre il resto delle decorazioni parietali, compiute nel 1773, si deve a Pietro Giarrè. Sul seicentesco chiostro grande, con al centro la monumentale fontana ottagona, si aprono le celle dei monaci, ciascuna concepita come unità abitativa composta da più stanze.

Tra i numerosi ambienti del monastero ricordiamo l’appartamento del Priore, la ricca Biblioteca, l’Archivio storico e la farmacia. Nella foresteria è stata allestita la Quadreria del convento, che ospita numerosi e pregevoli dipinti, tra cui la collezione della famiglia Borghini di Calci.

L’ala ovest della Certosa ospita il Museo di storia naturale e del territorio dell’Università di Pisa.

Agriturismo Al Palazzaccio

Il casolare è costituito dall’insieme di due edifici risalenti al ‘400 e ‘700. Immerso nel verde della valle di Calci, detta “Val Graziosa” per le sue dolci pendici e la natura rigogliosa, si affaccia sul bellissimo panorama della valle con vista sull’antico Castello della Verruca. Il silenzio della campagna e l’accoglienza riservata ai nostri ospiti assicurano una vacanza in pieno relax.

All’esterno ampi prati, circondati da oliveti, consentono di usufruire di diversi spazi: gatzebo e barbecue per cene all’aperto, tavolo da ping pong, piscina, zona relax.

Terra e Aroma

Di fronte alla Certosa trovi colazioni, spuntini, piatti freddi e caldi, merende, aperitivi e packed-lunch per picnic.

Ampio utilizzo di verdure, tassativamente stagionali. Prodotti buoni per piatti semplici, ma ricchi di sapore.Menu che segue una precisa regola: in ogni pietanza una nostra verdura, e un’erba aromatica coltivata nella nostra terra.

Torre di Caprona

Sullo sperone roccioso a monte del paese di Caprona spicca la “torre degli Upezzinghi“, copia ottocentesca della torre dell’antico castello esistente alla metà dell’XI secolo, citato da Dante (Inferno, XXI, 94-96) e smantellato da Firenze nel 1433. La torre chiamata comunemente “Torretta” si trova sulla sommità di uno sperone roccioso, in una posizione altamente suggestiva che domina le pendici del monte Pisano. Oggi è in completo stato di abbandono e necessiterebbe di un’opera di messa in sicurezza.

All’incrocio fra via del ponte e via Dante Alighieri si trova una lapide storica che recita:

XXI AGOSTO MDCCCXCII

TRENTACINQUE ANNI ADDIETRO FRANCESCO LUPERI CENTONI PROPUGNAVA E LEGALMENTE OTTENEVA CHE LE ACQUE PLUVIALI DI QUESTO ANTICO BORGO SOTTO L’ALVEO DEL TORRENTE ZAMBRA PASSANDO NEL SOTTOSTANTE FOSSO – VICINAJA – DEFLUISSERO MA DIFETTO DI LEGGI O EGOISMO DI POTENTI I NECESSARI LAVORI LUNGAMENTE IMPEDIRONO. PROGREDITI I TEMPI LE LEGGI E LE OPINIONI AJUTANDO PER LE ASSIDUE CURE DEL COMPAESANO ETTORE SIGHIERI AI PUBBLICI LAVORI MUNICIPALI PREPOSTO L’OPERA TANTO AGOGNATA NEL LUGLIO 1892 FINALMENTE COMPIEVASI.

LA POPOLAZIONE CAPRONESE RICONOSCENTE QUESTO MARMO PONEVA

La località è ricordata a partire dal 1024. Il castello di Caprona subì una sortita ad opera dei soldati fiorentini il 16 agosto del 1289, azione a cui partecipò anche il giovane Dante Alighieri, arruolato con altri quattrocento cavalieri nelle schiere di Nino Visconti. Il sommo poeta citerà la cittadina nel canto XXI dell’Inferno, vv. 94-96.

«così vid’io già temer li fanti
ch’uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo se’ tra nemici cotanti.»

Il suddetto castello era collocato ai piedi dello sperone roccioso su cui sorgeva la torre di avvistamento, che permetteva la comunicazione con le strutture fortificate circostanti, cioè la Rocca della Verruca e le torri di Uliveto, per il controllo della stretta zona di terra posta fra il fiume Arno e la propaggine meridionale del Monte Pisano

L’estrazione di pietra dalle cave capronesi ha progressivamente trasformato il paesaggio della cittadina. Quando lo sperone roccioso era ancora sostanzialmente integro era possibile scorgere intorno alla torretta i resti del forte medievale. Fino agli anni cinquanta, inoltre, a qualche centinaio di metri a ovest dei suddetti ruderi erano visibili le mura di un palazzo la cui costruzione, voluta da Cosimo I, non venne mai portata a termine: l’edificio era popolarmente noto col nome di “Palazzaccio“.

Dal 1887 al 1953 Caprona era servita dalla tranvia a vapore che, percorrendo l’asse della via Fiorentina, collegava Pisa con Pontedera e, attraverso una diramazione in sede propria che si distaccava in località Navacchio, con Calci. Superato l’Arno con un tratto in sede stradale sul ponte di Zambra, la linea aveva a Caprona una vera e propria stazione dotata di un fascio di tre binari di cui uno a servizio del raccordo di 2 km che collegava tale località con la cava di pietra sita in località Uliveto. Quest’ultimo fu dismesso e smantellato nel 1941.

[ testo tratto da wikipedia.it ]

Verruca (fortezza)

Storia

La struttura della rocca aveva un’importanza cruciale per la Repubblica Pisana, perennemente in guerra con Firenze. Il castello era il nucleo di un sistema di fortificazioni sparse sul territorio circostante tra cui possiamo elencare i castelli di Caprona, Vicopisano e Buti. Le comunicazioni tra questi avamposti e la rocca, così come quelle tra la rocca e la città di Pisa, avvenivano con lenzuola, stendardi, fumo, fuochi o colpi di artiglieria attraverso un codice che permetteva di informare repentinamente sui movimenti delle truppe nemiche in avvicinamento. In caso di scarsa visibilità il segnale veniva passato attraverso le varie torri dislocate sui monti pisani: la Torre dello Spuntone, il castellare di Asciano, il castello di Agnano ed il castello di San Giuliano.

Teatro di cruente battaglie tra Pisani e Fiorentini, fu ripetutamente roccaforte dei primi quando ormai la città era caduta in mano al nemico. Il sito era già occupato da una fortificazione dal 780, ma la rocca vera e propria fu costruita solo nel XIII secolo, ed è sopravvissuta come struttura militare attiva fino alla definitiva caduta di Pisa nel 1503. Le ultime strutture ad esser costruite, in vista dell’ultimo decisivo scontro con i Fiorentini, furono le quattro torri angolari, due orientali di grossa dimensione e due occidentali più piccole, con feritoie e balestriere.

Nel 1509, tuttavia, la fortezza fu ristrutturata da Antonio da Sangallo a cui vengono attribuiti i due bastioni poligonali e da Luca del Caprina, della bottega del Francione, a cui viene attribuita la grossa torre cilindrica su uno spigolo del perimetro. La fortezza fu in seguito dismessa venendo a mancare la sua posizione di frontiera e quindi la sua utilità difensiva.
La Rocca della Verruca come appariva in un dipinto del 1875 del pittore Károly Markó il Giovane.

Nei primi anni del Novecento venne avviato un progetto per la realizzazione di una croce monumentale, in risposta all’iniziativa di papa Leone XIII di porre il simbolo della cristianità sulle cime più alte d’Italia. La prima pietra venne posata dall’Arcivescovo di Pisa Maffi nel 1904, ma i lavori non proseguirono per il blocco imposto dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, decisa a preservare l’aspetto dell’antica fortezza.

La sera dell’8 settembre 2009 il fianco nord-occidentale del monte è stato interessato da un violento incendio di origine dolosa, estesosi dalla zona di Nicosia di Calci fino a raggiungere Crespignano e Caprona, in basso, e il Lombardone, vicino alla sommità. Il fuoco ha distrutto circa 120 ettari di foresta, lasciando una ferita nel panorama dei Monti Pisani, visibile a chilometri di distanza. Il comune di Calci e la Provincia di Pisa, visti anche gli scarsi finanziamenti da parte della Regione Toscana, hanno deciso di non intervenire con piani di rimboschimento, asserendo che sarà la natura a fare il proprio corso e favorendo quindi la crescita di una vegetazione di tipo mediterraneo, costituita da piccoli arbusti e non più da boschi di leccio o querce.

Dal novembre 2009 la Compagnia di Calci (associazione nata nel 2004 a tutela del territorio e dell’ambiente della Valgraziosa) ha ottenuto, in comodato d’uso dal proprietario dottor Costantino Conforti, la parte della rocca che si trova nel territorio del Comune di Calci. I volontari dell’Associazione si impegnano costantemente in opere di pulizia e messa in sicurezza allo scopo di salvaguardare la Verruca dallo stato di abbandono e al fine di rendere visibili ai numerosi visitatori le parti che la vegetazione col tempo aveva coperto. La vegetazione circostante le mura, composta da lecci, edera, rovi e altri arbusti, sta seriamente minacciando la solidità delle loro fondamenta a causa dell’azione delle radici.

Nel settembre 2018 un violentissimo incendio che ha devastato la parte sud-orientale del Monte Pisano, ha colpito anche la Rocca della Verruca distruggendo praticamente tutta la vegetazione presente

 

Architettura

La struttura in pietra e laterizi sorge su uno sperone roccioso ed è stata ricostruita e ampliata in vari momenti della storia della Repubblica Pisana; tali lavori sono stati eseguiti spesso con urgenza in periodo di guerra, senza una pianificazione accurata. I bastioni e le fondamenta, che si aggrappano direttamente alla roccia sottostante, sono ancora saldi, ma le sovrastrutture sono crollate quasi interamente; restano quasi intatte alcune sale sotterranee e la cappella centrale, che conserva le quattro mura.
Ingresso della Rocca

La pianta del complesso è pentagonale, con i due lati orientali spesso considerati come uno solo molto convesso. Solo quattro angoli risultano fortificati: i due rivolti a nord e nord-est da torrioni rotondi, quello a nord-ovest da un bastione con punta poligonale e quello di sud-ovest con uno spalto lievemente pronunciato.

L’unico ingresso è posto sul lato orientale e vi si accede tramite una breve ma ripida scalinata scavata nella roccia[9]. Una volta varcata la porta, attualmente danneggiata, il paesaggio si apre sulla piazza d’armi al cui centro si ergono i resti di una chiesa. Nel terreno si notano diverse aperture, alcune provviste di scalini e conducenti a stanze sotterranee, altre di forma quadrata poste al centro del soffitto delle stesse camere. Tra la vegetazione è possibile scorgere anche l’apertura di una grande cisterna quadrilatera, con la volta a botte, oggi riempita di detriti e in passato probabilmente utilizzata per la raccolta dell’acqua piovana.

La chiesa, a pianta rettangolare, conserva le possenti mura di grossi blocchi di pietra verrucana, su cui si aprono due porte, sui lati maggiori, e due finestre strombate, sul fianco destro. L’osservatore attento può notare due distinte qualità di pietra nel perimetro: grossi blocchi fino ai due metri d’altezza, filarotti di una cava diversa superiormente. Questi ultimi provengono probabilmente dalla “Buca delle Fate”, una cava di verrucano che ha fornito il materiale anche per la costruzione della chiesa del monastero di San Michele Arcangelo, poco distante dalla rocca. Nulla rimane invece del tetto e del pavimento, forse semplicemente ricoperto dal prato.

Alle spalle dei ruderi si innalzano alcuni grossi massi che in passato costituivano il sostegno del mastio, di cui rimane solo un muro e che probabilmente si estendeva fino al muro meridionale. Ancor oggi il punto più alto della rocca (e del monte), la torre che vi si ergeva venne probabilmente smantellata con l’avvento della polvere da sparo, in modo da non costituire facile bersaglio per le bordate nemiche e, quindi, un pericolo per gli assediati in caso di crollo.

La maggior parte del piano interno della rocca è oggi ricoperto di terra ed erba, ma conserva ancora la sua caratteristica pendenza verso est. Il muraglione sud è perciò la parte più alta del perimetro e sulla sua faccia interna sono ancora visibili alcune delle mensole di pietra che fungevano da sostegno per i camminamenti interni.

Il torrione di sud-est è fornito di due mine accessibili tramite una scaletta di pietra e dotate di bocche di fuoco utilizzate per sorvegliare la muraglia meridionale e quella orientale con l’ingresso. Anche il bastione di sud-ovest ha una mina, rivolta a ponente, non rialzata e oggi priva della cornice di pietra, rimossa negli anni settanta. Nei pressi di tale bastione è presente un’altra bocca di fuoco per sorvegliare ulteriormente il muraglione sud.

Il bastione di nord-ovest presenta un ampio locale interno, dotato di volte interrate sotto cumuli di detriti. Forse qui si trovava l’ingresso del passaggio segreto che conduceva all’esterno della struttura, una sorta di uscita di servizio o di emergenza. Tale struttura ha probabilmente alimentato la diceria riguardo al fantomatico tunnel sotterraneo che avrebbe messo in comunicazione Pisa con la Verruca.

Al torrione di nord-est, ben conservato, si accede tramite una scala in pietra. Al suo interno troviamo una stanza piuttosto grande con due bocche di fuoco che avevano il compito di sorvegliare le muraglie settentrionale e orientale. Dalla stessa scala parte uno stretto cunicolo che termina con una bocca di fuoco collocata a metà del muraglione est.

[testo tratto da wikipedia.it]