Dettagli Percorso
Lunghezza
9.7km
Difficoltà
E
Durata
2h 45min
Dislivello +
368m
Dislivello -
275m
Quota di partenza
163m
Quota di arrivo
256m
Quota minima
147m
Quota massima
330m
Filattiera
Il nome del capoluogo, derivante dal termine Fulacterion, con il quale i bizantini indicavano le fortificazioni poste a sbarramento dei punti strategici di grande importanza, ne indica chiaramente l’origine nel tempo e i caratteri strutturali.
Il borgo di Filattiera conserva intatto il primo insediamento del XIII sec.,con la chiesa castrense di San Giorgio e la Torre di avvistamento e, perfettamente leggibile, lo sviluppo del borgo dei secoli successivi con il castello malaspiniano, la chiesa, l’antico Ospedale di San Giacomo.
Filattiera

Il nome del capoluogo, derivante dal termine Fulacterion, con il quale i bizantini indicavano le fortificazioni poste a sbarramento dei punti strategici di grande importanza, ne indica chiaramente l’origine nel tempo e i caratteri strutturali.
Il borgo di Filattiera conserva intatto il primo insediamento del XIII sec.,con la chiesa castrense di San Giorgio e la Torre di avvistamento e, perfettamente leggibile, lo sviluppo del borgo dei secoli successivi con il castello malaspiniano, la chiesa, l’antico Ospedale di San Giacomo.
Pieve di Sorano
La pieve di Santo Stefano di Sorano a Filattiera è una delle più importanti pievi romaniche della provincia di Massa Carrara. Sorge in una zona strategica, frequentata fin dalla preistoria (nella zona sono state ritrovate ben sette statue stele) e conserva ancora oggi l’impianto del secolo XII, capolavoro architettonico romanico, con un imponente sistema absidale interamente realizzato in ciottoli di arenaria non sbozzati. All’interno della pieve, interamente restaurata, sono conservati numerosi elementi medievali oltre a due statue stele originali (Sorano I e Sorano V).
L’area in cui sorge la pieve è frequentata fin dalla preistoria, come testimoniano le 7 statue stele trovate nell’area circostante e i numerosi reperti di età del ferro. Dopo la fase romana, testimoniata dalla presenza di una “mansio” recentemente indagata archeologicamente, Filattiera fu un importante insediamento militare bizantino, Prima della pieve attuale doveva esistere un’altra chiesa altomedievale (VIII-IX secolo) da cui potrebbe provenire l’Epigrafe di Leodegar (752 d.C.) oggi nella chiesa di San Giorgio all’interno del borgo.
La pieve romanica viene edificata fra i secoli XI e XII, nell’ambito della riorganizzazione ecclesiasitca della Diocesi di Luni, di cui questa chiesa rappresenta forse la più importante dipendenza in Lunigiana. La Pieve di S. Stefano di Sorano è citata al partire dal secolo XI in tutti i principali documenti legati alla Diocesi di Luni e vive il suo periodo di massimo splendore fino al secolo XIV, quando inizia ad essere abbandonata e viene gradualmente trasformata in cappella cimiteriale.
L’aspetto attuale è frutto di un ampio restauro terminato nel 2000, che ha ripristinato l’aspetto originario. Tutto l’edificio è realizzato con una tecnica molto particolare, con ciottoli di fiume non squadrati e messi in opera con abbondante malta.
La pianta è basilicale a tre navate, senza transetto, con la navata centrale maggiore delle altre due e il presbiterio leggermente sopraelevato. In facciata si possono notare il Rosone polilobato e alcune aperture tamponate nella muratura. Nella controfacciata interna di sinistra, in angolo, le statue stele Sorano I e Sorano V, rinvenute nell’area della chiesa: la Sorano V era reimpiegata come architrave di un piccol ingresso aperto in facciata e successivamente tamponato.
L’interno è sobrio, severo, poco luminoso, con grandi archi a doppia ghiera che poggiano su pilastri rotondi con brevissimi capitelli incisi. Sul lato sinistro restano alcuni archi in muratura settecenteschi inseriti tra quelli romanici.
La decorazione e la simbologia sono ridotte al minimo, tuttavia sono presenti alcuni interessanti immagini, in particolare la figura mostruosa presente nella parte alta della navata centrale, sul lato sinistro.
La parte architettonicamente più interessante della pieve dal punto sono certamente le tre absidi, realizzate con una decorazione architettonica su diversi livelli di profondità. Nella parte alta dell’abside maggiore si possono notare tracce di alcuni piccoli semicapitelli figurati.
Il campanile, forse nato come struttura difensiva, è collegato alla chiesa ma rappresenta un elemento a se stante.
A pochi metri dalla pieve, in direzione nord, sorge oggi il Centro Didattico di Sorano, sede di un’area attrezzata per esercitazioni di scavo, lezioni didattiche di archeologia, conferenze e convegni.
[Fonte: turismoinlunigiana.it ]Pieve di Sorano

La pieve di Santo Stefano di Sorano a Filattiera è una delle più importanti pievi romaniche della provincia di Massa Carrara. Sorge in una zona strategica, frequentata fin dalla preistoria (nella zona sono state ritrovate ben sette statue stele) e conserva ancora oggi l’impianto del secolo XII, capolavoro architettonico romanico, con un imponente sistema absidale interamente realizzato in ciottoli di arenaria non sbozzati. All’interno della pieve, interamente restaurata, sono conservati numerosi elementi medievali oltre a due statue stele originali (Sorano I e Sorano V).
L’area in cui sorge la pieve è frequentata fin dalla preistoria, come testimoniano le 7 statue stele trovate nell’area circostante e i numerosi reperti di età del ferro. Dopo la fase romana, testimoniata dalla presenza di una “mansio” recentemente indagata archeologicamente, Filattiera fu un importante insediamento militare bizantino, Prima della pieve attuale doveva esistere un’altra chiesa altomedievale (VIII-IX secolo) da cui potrebbe provenire l’Epigrafe di Leodegar (752 d.C.) oggi nella chiesa di San Giorgio all’interno del borgo.
La pieve romanica viene edificata fra i secoli XI e XII, nell’ambito della riorganizzazione ecclesiasitca della Diocesi di Luni, di cui questa chiesa rappresenta forse la più importante dipendenza in Lunigiana. La Pieve di S. Stefano di Sorano è citata al partire dal secolo XI in tutti i principali documenti legati alla Diocesi di Luni e vive il suo periodo di massimo splendore fino al secolo XIV, quando inizia ad essere abbandonata e viene gradualmente trasformata in cappella cimiteriale.
L’aspetto attuale è frutto di un ampio restauro terminato nel 2000, che ha ripristinato l’aspetto originario. Tutto l’edificio è realizzato con una tecnica molto particolare, con ciottoli di fiume non squadrati e messi in opera con abbondante malta.
La pianta è basilicale a tre navate, senza transetto, con la navata centrale maggiore delle altre due e il presbiterio leggermente sopraelevato. In facciata si possono notare il Rosone polilobato e alcune aperture tamponate nella muratura. Nella controfacciata interna di sinistra, in angolo, le statue stele Sorano I e Sorano V, rinvenute nell’area della chiesa: la Sorano V era reimpiegata come architrave di un piccol ingresso aperto in facciata e successivamente tamponato.
L’interno è sobrio, severo, poco luminoso, con grandi archi a doppia ghiera che poggiano su pilastri rotondi con brevissimi capitelli incisi. Sul lato sinistro restano alcuni archi in muratura settecenteschi inseriti tra quelli romanici.
La decorazione e la simbologia sono ridotte al minimo, tuttavia sono presenti alcuni interessanti immagini, in particolare la figura mostruosa presente nella parte alta della navata centrale, sul lato sinistro.
La parte architettonicamente più interessante della pieve dal punto sono certamente le tre absidi, realizzate con una decorazione architettonica su diversi livelli di profondità. Nella parte alta dell’abside maggiore si possono notare tracce di alcuni piccoli semicapitelli figurati.
Il campanile, forse nato come struttura difensiva, è collegato alla chiesa ma rappresenta un elemento a se stante.
A pochi metri dalla pieve, in direzione nord, sorge oggi il Centro Didattico di Sorano, sede di un’area attrezzata per esercitazioni di scavo, lezioni didattiche di archeologia, conferenze e convegni.
[Fonte: turismoinlunigiana.it ]Castello Malgrate
Il feudo di Niccolò I Malaspina comprendeva le terre murate di Malgrate e Filetto, i casali di Cunale e Casola e i quattro villaggi di Orturano, Irola, Mocrone e Gragnana[1].Tra i figli del marchese il distretto di Malgrate venne affidato al quadrigenito Bernabò Malaspina ed è a quel tempo che apparve doversi porre la costruzione del castello come anche lo sviluppo del borgo[2]. I discendenti di Bernabò tennero tale dominio per due secoli e mezzo e alternarono momenti di quiete con turbolente vicende determinate specialmente dalle bramosie degli stati di Firenze e di Milano per la supremazia in Lunigiana.
Queste contese resero difficile la sopravvivenza dell’autonomia politica della dinastia dei Bernabò e provocarono preoccupazioni, contrasti coi sudditi, contese coi feudatari vicini ed invasioni. Le maggiori tensioni si ebbero nel XV secolo: durante le guerre tra il duca di Milano Filippo Maria Visconti e la Repubblica di Firenze, già alleata con i Bernabò, questi ultimi tradirono in favore di Milano la repubblica Fiorentina, che con l’aiuto della popolazione ribelle al marchesato occupò il castello per tre anni. Con la pace di Ferrara del 1433 e dopo un atto di sottomissione nei confronti della repubblica i Malaspina ripresero il possesso del loro feudo. Questo fatto provocò il risentimento di Filippo di Milano, tanto che nel 1445 egli fece assalire dalle sue truppe il castello e distruggere le fortificazioni.
Nel 1615 Cesare II, fortemente indebitato e privo di figli maschi, vendette il feudo alla Camera Ducale di Milano che dopo averlo tenuto per ventisei anni e bisognosa di denaro lo rivendette nel 1641 alla nobile famiglia degli Ariberti di Cremona. La famiglia cremonese governò con giustizia e liberalità e in seguito a una revisione della struttura portò alla definitiva trasformazione della fortezza da strumento di guerra a residenza borghese.
Dopo l’estinzione della famiglia degli Ariberti, Malgrate passò nel 1745 ai Freganeschi di Milano, congiunti agli Ariberti per parte delle donne, che ne conservarono il dominio fino all’epoca della Rivoluzione francese. Nel XIX secolo, smantellato e spogliato dei suoi beni, il castello rovinò quasi interamente[2].
Oggi il castello di Malgrate, acquisito al patrimonio dello stato, è stato completamente consolidato e restaurato grazie ai Fondi Strutturali dell’Unione Europea e ai fondi del Progetto Speciale Castelli della Lunigiana.
Architettura
La torre circolare
Il complesso presenta le caratteristiche di una classica fortezza medievale con torre adatta alla difesa piombatoia, mastio centrale e cortina muraria guarnita di merli e camminamenti di ronda. L’ingresso del castello è preceduto da fossato e un ponticello sostituisce un vecchio ponte levatoio.
Le mura trapezoidali sono di epoca post-medievale e sono percorse in tutto il loro perimetro da camminamenti per le guardie e contrafforti con gli archetti. Le mura recingono il nucleo medievale che ha forma planimetrica rettangolare.
La torre, risalente con ogni probabilità al XII secolo, è alta oltre venticinque metri e si trova sul lato ovest del castello. Di forma circolare e affiancata da una costruzione fortificata a pianta rettangolare è dotata di sei vani voltati sovrapposti collegati attraverso botole da scale retrattili, con lo sporto superiore su beccatelli in pietra[4].
Accanto alla torre sorgono i resti di un mastio centrale, residenza del signore feudale, probabilmente su tre piani e con corte interna. Risalgono al XV secolo le grandi feritoie adatte all’uso di armi da lancio come archi e balestre. La porta di accesso al borgo creata da Giuseppe Malaspina nel 1566 è saldata al fianco orientale delle mura del castello.
[testo tratto da wikipedia.it ]Castello Malgrate

Il feudo di Niccolò I Malaspina comprendeva le terre murate di Malgrate e Filetto, i casali di Cunale e Casola e i quattro villaggi di Orturano, Irola, Mocrone e Gragnana[1].Tra i figli del marchese il distretto di Malgrate venne affidato al quadrigenito Bernabò Malaspina ed è a quel tempo che apparve doversi porre la costruzione del castello come anche lo sviluppo del borgo[2]. I discendenti di Bernabò tennero tale dominio per due secoli e mezzo e alternarono momenti di quiete con turbolente vicende determinate specialmente dalle bramosie degli stati di Firenze e di Milano per la supremazia in Lunigiana.
Queste contese resero difficile la sopravvivenza dell’autonomia politica della dinastia dei Bernabò e provocarono preoccupazioni, contrasti coi sudditi, contese coi feudatari vicini ed invasioni. Le maggiori tensioni si ebbero nel XV secolo: durante le guerre tra il duca di Milano Filippo Maria Visconti e la Repubblica di Firenze, già alleata con i Bernabò, questi ultimi tradirono in favore di Milano la repubblica Fiorentina, che con l’aiuto della popolazione ribelle al marchesato occupò il castello per tre anni. Con la pace di Ferrara del 1433 e dopo un atto di sottomissione nei confronti della repubblica i Malaspina ripresero il possesso del loro feudo. Questo fatto provocò il risentimento di Filippo di Milano, tanto che nel 1445 egli fece assalire dalle sue truppe il castello e distruggere le fortificazioni.
Nel 1615 Cesare II, fortemente indebitato e privo di figli maschi, vendette il feudo alla Camera Ducale di Milano che dopo averlo tenuto per ventisei anni e bisognosa di denaro lo rivendette nel 1641 alla nobile famiglia degli Ariberti di Cremona. La famiglia cremonese governò con giustizia e liberalità e in seguito a una revisione della struttura portò alla definitiva trasformazione della fortezza da strumento di guerra a residenza borghese.
Dopo l’estinzione della famiglia degli Ariberti, Malgrate passò nel 1745 ai Freganeschi di Milano, congiunti agli Ariberti per parte delle donne, che ne conservarono il dominio fino all’epoca della Rivoluzione francese. Nel XIX secolo, smantellato e spogliato dei suoi beni, il castello rovinò quasi interamente[2].
Oggi il castello di Malgrate, acquisito al patrimonio dello stato, è stato completamente consolidato e restaurato grazie ai Fondi Strutturali dell’Unione Europea e ai fondi del Progetto Speciale Castelli della Lunigiana.
Architettura
La torre circolare
Il complesso presenta le caratteristiche di una classica fortezza medievale con torre adatta alla difesa piombatoia, mastio centrale e cortina muraria guarnita di merli e camminamenti di ronda. L’ingresso del castello è preceduto da fossato e un ponticello sostituisce un vecchio ponte levatoio.
Le mura trapezoidali sono di epoca post-medievale e sono percorse in tutto il loro perimetro da camminamenti per le guardie e contrafforti con gli archetti. Le mura recingono il nucleo medievale che ha forma planimetrica rettangolare.
La torre, risalente con ogni probabilità al XII secolo, è alta oltre venticinque metri e si trova sul lato ovest del castello. Di forma circolare e affiancata da una costruzione fortificata a pianta rettangolare è dotata di sei vani voltati sovrapposti collegati attraverso botole da scale retrattili, con lo sporto superiore su beccatelli in pietra[4].
Accanto alla torre sorgono i resti di un mastio centrale, residenza del signore feudale, probabilmente su tre piani e con corte interna. Risalgono al XV secolo le grandi feritoie adatte all’uso di armi da lancio come archi e balestre. La porta di accesso al borgo creata da Giuseppe Malaspina nel 1566 è saldata al fianco orientale delle mura del castello.
[testo tratto da wikipedia.it ]Mocrone
Citato già nel 1355 come Mocoronum, forse deve il suo nome al latino “mucrone”, ossia punta, indicando per estensione la lingua di terra o il costone dell’appennino in cui venne fondato.
Il piccolo abitato si snoda lungo una stretta via che dalla piazza porta alla chiesa nuova. Più in alto, non lontano si incontra l’oasi di Nostra Signora di Fatima, recente cappella del 1993 e quindi la piccola chiesa di San Maurizio. Circondata dal cimitero, risale al XIII-XIV secolo ed è costruita in bozze di pietra squadrata.
Mocrone accoglie nella piazza d’entrata un monumento dello scultore Riccardo Rossi dedicato ad Alberico Benedicenti (1866 Mondovì -1961 Mocrone), farmacologo e biologo di fama internazionale. Nei pressi anche la bella casa Benedicenti
[testo tratto da www.terredilunigiana.com ]
Mocrone

Citato già nel 1355 come Mocoronum, forse deve il suo nome al latino “mucrone”, ossia punta, indicando per estensione la lingua di terra o il costone dell’appennino in cui venne fondato.
Il piccolo abitato si snoda lungo una stretta via che dalla piazza porta alla chiesa nuova. Più in alto, non lontano si incontra l’oasi di Nostra Signora di Fatima, recente cappella del 1993 e quindi la piccola chiesa di San Maurizio. Circondata dal cimitero, risale al XIII-XIV secolo ed è costruita in bozze di pietra squadrata.
Mocrone accoglie nella piazza d’entrata un monumento dello scultore Riccardo Rossi dedicato ad Alberico Benedicenti (1866 Mondovì -1961 Mocrone), farmacologo e biologo di fama internazionale. Nei pressi anche la bella casa Benedicenti
[testo tratto da www.terredilunigiana.com ]
Ostello Foresteria LA GUTULA
Nel centro di Bagnone, una dimora ristrutturata con camere doppie, triple e quadruple
Ostello Foresteria LA GUTULA

Nel centro di Bagnone, una dimora ristrutturata con camere doppie, triple e quadruple