Dettagli Percorso
Lunghezza
1.8km
Difficoltà
E
Durata
30min
Dislivello +
8m
Dislivello -
37m
Quota di partenza
43m
Quota di arrivo
15m
Quota minima
12m
Quota massima
45m
La Fabbrica del Carbone
Con le sue strutture lacerate ed i macchinari erosi dalla ruggine, quel luogo è in grado di suscitare un forte potere suggestivo ed evocare sensazioni e riflessioni che trascendono la superficie degli oggetti.
La storia di questo singolare agglomerato di edifici e di vicende umane ha inizio intorno al 1858, quando il proprietario terriero Leopoldo Silvatici prese possesso di un vasto appezzamento agricolo sottostante il colle San Jacopo e costeggiato dal rio Grifone. Conosciuto anche come rio di Lupeta, questo piccolo corso d’acqua, nonostante la sua portata modesta, aveva permesso in quella zona lo sviluppo di piccole attività legate all’acqua e all’energia idrica. Sfruttando questa opportunità, il Silvatici dette il via alla costruzione di un grande fabbricato a pianta rettangolare, di cui ancora oggi è possibile ammirare l’aspetto solido e imponente, destinandolo all’uso di frantoio. Allo scopo di sopperire alle eventuali carenze idriche del modesto rio ed assicurare alla ruota del frantoio un apporto d’acqua costante, vennero realizzate due gore di grande capienza. A queste ne verrà successivamente aggiunta una terza. All’attività del frantoio venne affiancata, dopo qualche anno, quella del mulino, svolta in un’altra ala del medesimo fabbricato. Sin dagli esordi e per tutta la seconda metà dell’800, sia il frantoio che il mulino trasformarono una grande quantità di prodotto, permettendo ai Silvatici di ottenere cospicui profitti. Successivamente, però, la produzione subì un calo sostanziale sino a giungere nei primi anni del ‘900 ad una fase di grave crisi. Nuovi mulini, dotati di tecnologie avanzate, erano infatti stati costruiti nelle aree prospicienti la raccolta, eliminando così per gli utenti l’onere del trasporto: di conseguenza le richieste di molitura e frangitura nei confronti dei Silvatici erano fortemente diminuite. Giuseppe Silvatici, succeduto a Leopoldo, decise di cessare attività così poco redditizie e mise in vendita tutta la proprietà. Il 2 marzo 1934 Nicolo Crastan, comproprietario della nota azienda alimentare pontederese, acquistò il complesso.
Date le scarse probabilità di profitto, Crastan decise di abbandonare l’attività del mulino per intraprenderne un’altra, che in quel momento godeva di una discreta richiesta: la produzione carbonifera. Dovendo far fronte alle mutate esigenze produttive, il nuovo proprietario fece edificare, fra il 1934 ed il 1940, una serie di fabbricati adiacenti al nucleo originario del frantoio. Nacquero in quel momento quei corpi di fabbrica in muratura e con copertura a capanna, adibiti a magazzino, che ancora oggi sorgono lungo i confini della proprietà e ne caratterizzano l’aspetto. Altri manufatti di analoga fattura si trovano sul lato opposto, nei pressi della riva sinistra del rio Grifone. Il frantoio, dotato di ampi volumi, fu riutilizzato in parte come sede degli uffici, in parte come magazzino per lo stoccaggio del carbone. In contrasto stridente col resto dei fabbricati, pur essendone coevi, risultano i due capannoni destinati a contenere i forni impiegati nella nuova produzione. Attraverso uno dei cancelli laterali, ancora oggi è possibile scorgere il loro profilo aguzzo e plumbeo spezzato verticalmente dalle linee nere dei due fumaioli di scarico. In breve tempo, quel frantoio così perfettamente armonizzato con l’ambiente circostante, attraverso una traumatica superfetazione si era trasformato in uno strano groviglio di edifici eterogenei ammassati l’uno a ridosso dell’altro, in totale distonia con i dolci colli di ulivi e cipressi dei Monti Pisani. L’attività si incentrava sulla produzione del carbone vegetale, tramite l’utilizzo della brace prodotta dalla combustione di legna proveniente dai boschi circostanti. Il prodotto era destinato principalmente al riscaldamento domestico, in particolare agli ‘scaldaletto’, al tempo unico conforto durante le stagioni fredde. La produzione carbonifera dei Crastan venne interrotta nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale quando, a seguito degli esiti del conflitto, l’economia italiana subì un tracollo. Durante il periodo bellico l’area venne utilizzata in vari modi. I magazzini antistanti il frantoio furono adibiti ad ‘Ammasso dell’olio e del grano di Vicopisano’, del quale sono tutt’ora visibili i resti dell’insegna. Nella palazzina a destra del frantoio si progettò di trasferire gli uffici della Piaggio da Pontedera, dove la vicinanza con la stazione ferroviaria, bersaglio dei bombardamenti alleati, costituiva un concreto pericolo. L’avanzata alleata e la conseguente cessazione dei bombardamenti fecero venire meno le necessità del trasferimento. Gli uffici non furono terminati e rimasero dismessi. Vennero poi utilizzati come deposito di fortuna.
(da leviedelbrigante.it )
La Fabbrica del Carbone

Con le sue strutture lacerate ed i macchinari erosi dalla ruggine, quel luogo è in grado di suscitare un forte potere suggestivo ed evocare sensazioni e riflessioni che trascendono la superficie degli oggetti.
La storia di questo singolare agglomerato di edifici e di vicende umane ha inizio intorno al 1858, quando il proprietario terriero Leopoldo Silvatici prese possesso di un vasto appezzamento agricolo sottostante il colle San Jacopo e costeggiato dal rio Grifone. Conosciuto anche come rio di Lupeta, questo piccolo corso d’acqua, nonostante la sua portata modesta, aveva permesso in quella zona lo sviluppo di piccole attività legate all’acqua e all’energia idrica. Sfruttando questa opportunità, il Silvatici dette il via alla costruzione di un grande fabbricato a pianta rettangolare, di cui ancora oggi è possibile ammirare l’aspetto solido e imponente, destinandolo all’uso di frantoio. Allo scopo di sopperire alle eventuali carenze idriche del modesto rio ed assicurare alla ruota del frantoio un apporto d’acqua costante, vennero realizzate due gore di grande capienza. A queste ne verrà successivamente aggiunta una terza. All’attività del frantoio venne affiancata, dopo qualche anno, quella del mulino, svolta in un’altra ala del medesimo fabbricato. Sin dagli esordi e per tutta la seconda metà dell’800, sia il frantoio che il mulino trasformarono una grande quantità di prodotto, permettendo ai Silvatici di ottenere cospicui profitti. Successivamente, però, la produzione subì un calo sostanziale sino a giungere nei primi anni del ‘900 ad una fase di grave crisi. Nuovi mulini, dotati di tecnologie avanzate, erano infatti stati costruiti nelle aree prospicienti la raccolta, eliminando così per gli utenti l’onere del trasporto: di conseguenza le richieste di molitura e frangitura nei confronti dei Silvatici erano fortemente diminuite. Giuseppe Silvatici, succeduto a Leopoldo, decise di cessare attività così poco redditizie e mise in vendita tutta la proprietà. Il 2 marzo 1934 Nicolo Crastan, comproprietario della nota azienda alimentare pontederese, acquistò il complesso.
Date le scarse probabilità di profitto, Crastan decise di abbandonare l’attività del mulino per intraprenderne un’altra, che in quel momento godeva di una discreta richiesta: la produzione carbonifera. Dovendo far fronte alle mutate esigenze produttive, il nuovo proprietario fece edificare, fra il 1934 ed il 1940, una serie di fabbricati adiacenti al nucleo originario del frantoio. Nacquero in quel momento quei corpi di fabbrica in muratura e con copertura a capanna, adibiti a magazzino, che ancora oggi sorgono lungo i confini della proprietà e ne caratterizzano l’aspetto. Altri manufatti di analoga fattura si trovano sul lato opposto, nei pressi della riva sinistra del rio Grifone. Il frantoio, dotato di ampi volumi, fu riutilizzato in parte come sede degli uffici, in parte come magazzino per lo stoccaggio del carbone. In contrasto stridente col resto dei fabbricati, pur essendone coevi, risultano i due capannoni destinati a contenere i forni impiegati nella nuova produzione. Attraverso uno dei cancelli laterali, ancora oggi è possibile scorgere il loro profilo aguzzo e plumbeo spezzato verticalmente dalle linee nere dei due fumaioli di scarico. In breve tempo, quel frantoio così perfettamente armonizzato con l’ambiente circostante, attraverso una traumatica superfetazione si era trasformato in uno strano groviglio di edifici eterogenei ammassati l’uno a ridosso dell’altro, in totale distonia con i dolci colli di ulivi e cipressi dei Monti Pisani. L’attività si incentrava sulla produzione del carbone vegetale, tramite l’utilizzo della brace prodotta dalla combustione di legna proveniente dai boschi circostanti. Il prodotto era destinato principalmente al riscaldamento domestico, in particolare agli ‘scaldaletto’, al tempo unico conforto durante le stagioni fredde. La produzione carbonifera dei Crastan venne interrotta nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale quando, a seguito degli esiti del conflitto, l’economia italiana subì un tracollo. Durante il periodo bellico l’area venne utilizzata in vari modi. I magazzini antistanti il frantoio furono adibiti ad ‘Ammasso dell’olio e del grano di Vicopisano’, del quale sono tutt’ora visibili i resti dell’insegna. Nella palazzina a destra del frantoio si progettò di trasferire gli uffici della Piaggio da Pontedera, dove la vicinanza con la stazione ferroviaria, bersaglio dei bombardamenti alleati, costituiva un concreto pericolo. L’avanzata alleata e la conseguente cessazione dei bombardamenti fecero venire meno le necessità del trasferimento. Gli uffici non furono terminati e rimasero dismessi. Vennero poi utilizzati come deposito di fortuna.
(da leviedelbrigante.it )
Rocca del Brunelleschi
La città, fedele alla Repubblica Pisana, difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell’Arno, aveva resistito a nove mesi di assedio nei quali si susseguirono assalti condotti con bombarde, catapulte, torri mobili e arieti, ma alla fine si arrese per fame. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle rive dell’Arno dal quale dominavano i commerci fluviali e il vicino ramo della Via Francigena controllando i flussi dei pellegrini, dei mercanti e le prospere campagne intorno alle pendici del Monte Pisano. Con la caduta nelle mani di Firenze si pensò di rinforzare questa importante conquista per scoraggiare le mire dei vicini. Venne presa la decisione di costruire una fortezza che fosse imprendibile e scoraggiasse le insidie degli eserciti dei Visconti che da lucca minacciavano la Toscana. Il governo fiorentino commissionò al celebre architetto Filippo Brunelleschi il progetto della nuova opera difensiva. La proposta del Brunelleschi risultò subito molto innovativa: alla presentazione di fronte alla commissione governativa della quale faceva parte anche il giovane condottiero Francesco Sforza, grazie a un modello in creta e legno, il celebre architetto convinse tutti per le soluzioni innovative progettate.
Per realizzare la nuova opera l’abitato di Vicopisano fu pesantemente modificato: le chiese e i palazzi che si trovavano nell’area della sommità del colle di Vico furono in buona parte abbattuti. La fortificazione del Brunelleschi incorporò nelle nuove atrutture la pre-esistente Torre di S. Maria (del XII secolo). Quest’ultima fu trasformata nel mastio dell’attuale Rocca. La tipologia della fortezza è ancora medievale, con alte mura merlate poggiate su archetti con piombatoie per gettare pece greca infiammata e olio bollente sugli assalitori. Ma nel complessso difensivo ci sono anche molte innovazioni come l’abbondante uso di ponti levatoi destinati, quando ritirati, ad isolare le varie parti della fortezza nel caso il nemico fosse riuscito a penetrarvi. Per esempio, prima di accedere al cortile della Rocca, si doveva conquistare l’antiporta munita di Ponte levatoio e di fossato. All’interno, in caso di perdita del cortile, i difensori potevano abbattere la scala poggiata su quattro esili archi che collega il cortile col cammino di ronda delle cortine. Se il nemico fosse riuscito a giungere fin sulle cortine, la difesa si sarebbe attestata nella torre: era possibile isolare la torre dal resto della fortificazione ritirando il ponte levatoio che collega il cammino di ronda con l’unico ingresso della stessa. La torre, munita di propria cisterna e deposito di vettovaglie, poteva ancora resistere a lungo.
La soluzione più geniale ideata da Brunelleschi è sicuramente il poderoso muraglione merlato che scende dalla Rocca fino ai piedi del Colle, dove termina con l’alta torre del Soccorso (21 m) edificata nelle vicinanze dell’Arno, che in quel periodo passava proprio sotto le mura di Vicopisano. Come suggerisce il nome della torre questa opera era destinata a evitare l’isolamento in caso di assedio garantendo l’approvvigionamento di viveri, armi e rinforzi via fiume in caso di assedio.
Le barche potevano approdare in una caletta, difesa da fortificazioni oggi scomparse, scaricare uomini e polveri che venivano fatte entrare da uno stretto portello, poi risalivano al secondo piano della torre, per accedere al muraglione e salire alla Rocca. Ma il Brunelleschi aveva pensato a tutto: infatti, se il nemico fosse riuscito a conquistare la Torre del Soccorso e avesse cercato di accedere alla rocca dal muraglione, si sarebbe trovato esposto al tiro d’infilata proveniente dalla Rocca, ma soprattutto avrebbe trovato interrotto il collegamento fra il muraglione e il cammino di ronda delle cortine della Rocca da un’altro ponte levatoio, che apriva un varco di circa tre metri su uno strapiombo di quindici metri. Oggi sulla torre della rocca sventola di nuovo la bandiera pisana, ma non ci sono venti di guerra, soltanto visitatori che si arrampicano fino alla cima della fortezza per ammirare il panorama.
(da leviedelbrigante.it)
Rocca del Brunelleschi

La città, fedele alla Repubblica Pisana, difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell’Arno, aveva resistito a nove mesi di assedio nei quali si susseguirono assalti condotti con bombarde, catapulte, torri mobili e arieti, ma alla fine si arrese per fame. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle rive dell’Arno dal quale dominavano i commerci fluviali e il vicino ramo della Via Francigena controllando i flussi dei pellegrini, dei mercanti e le prospere campagne intorno alle pendici del Monte Pisano. Con la caduta nelle mani di Firenze si pensò di rinforzare questa importante conquista per scoraggiare le mire dei vicini. Venne presa la decisione di costruire una fortezza che fosse imprendibile e scoraggiasse le insidie degli eserciti dei Visconti che da lucca minacciavano la Toscana. Il governo fiorentino commissionò al celebre architetto Filippo Brunelleschi il progetto della nuova opera difensiva. La proposta del Brunelleschi risultò subito molto innovativa: alla presentazione di fronte alla commissione governativa della quale faceva parte anche il giovane condottiero Francesco Sforza, grazie a un modello in creta e legno, il celebre architetto convinse tutti per le soluzioni innovative progettate.
Per realizzare la nuova opera l’abitato di Vicopisano fu pesantemente modificato: le chiese e i palazzi che si trovavano nell’area della sommità del colle di Vico furono in buona parte abbattuti. La fortificazione del Brunelleschi incorporò nelle nuove atrutture la pre-esistente Torre di S. Maria (del XII secolo). Quest’ultima fu trasformata nel mastio dell’attuale Rocca. La tipologia della fortezza è ancora medievale, con alte mura merlate poggiate su archetti con piombatoie per gettare pece greca infiammata e olio bollente sugli assalitori. Ma nel complessso difensivo ci sono anche molte innovazioni come l’abbondante uso di ponti levatoi destinati, quando ritirati, ad isolare le varie parti della fortezza nel caso il nemico fosse riuscito a penetrarvi. Per esempio, prima di accedere al cortile della Rocca, si doveva conquistare l’antiporta munita di Ponte levatoio e di fossato. All’interno, in caso di perdita del cortile, i difensori potevano abbattere la scala poggiata su quattro esili archi che collega il cortile col cammino di ronda delle cortine. Se il nemico fosse riuscito a giungere fin sulle cortine, la difesa si sarebbe attestata nella torre: era possibile isolare la torre dal resto della fortificazione ritirando il ponte levatoio che collega il cammino di ronda con l’unico ingresso della stessa. La torre, munita di propria cisterna e deposito di vettovaglie, poteva ancora resistere a lungo.
La soluzione più geniale ideata da Brunelleschi è sicuramente il poderoso muraglione merlato che scende dalla Rocca fino ai piedi del Colle, dove termina con l’alta torre del Soccorso (21 m) edificata nelle vicinanze dell’Arno, che in quel periodo passava proprio sotto le mura di Vicopisano. Come suggerisce il nome della torre questa opera era destinata a evitare l’isolamento in caso di assedio garantendo l’approvvigionamento di viveri, armi e rinforzi via fiume in caso di assedio.
Le barche potevano approdare in una caletta, difesa da fortificazioni oggi scomparse, scaricare uomini e polveri che venivano fatte entrare da uno stretto portello, poi risalivano al secondo piano della torre, per accedere al muraglione e salire alla Rocca. Ma il Brunelleschi aveva pensato a tutto: infatti, se il nemico fosse riuscito a conquistare la Torre del Soccorso e avesse cercato di accedere alla rocca dal muraglione, si sarebbe trovato esposto al tiro d’infilata proveniente dalla Rocca, ma soprattutto avrebbe trovato interrotto il collegamento fra il muraglione e il cammino di ronda delle cortine della Rocca da un’altro ponte levatoio, che apriva un varco di circa tre metri su uno strapiombo di quindici metri. Oggi sulla torre della rocca sventola di nuovo la bandiera pisana, ma non ci sono venti di guerra, soltanto visitatori che si arrampicano fino alla cima della fortezza per ammirare il panorama.
(da leviedelbrigante.it)
Circolo L’Ortaccio
Qui si possono trovare bibite, spuntini ed aperitivi in un ambiente aperto e rilassato
Circolo L’Ortaccio

Qui si possono trovare bibite, spuntini ed aperitivi in un ambiente aperto e rilassato
Via Loris Baroni
14
, Vicopisano (PI)
+39 050 799165
ortaccio@gmail.com