webmapp map

Dettagli Percorso

Lunghezza

28.6km

Difficoltà

Mc

Durata

6h 30min

Dislivello +

325m

Dislivello -

324m

Quota di partenza

13m

Quota di arrivo

14m

Quota minima

3m

Quota massima

156m

Lago della Gherardesca

L’area è situata nella parte occidentale del “padule”, ai piedi del monte Pisano, ha una superficie di circa 30 ettari e si trova all’interno di una zona di protezione lungo le rotte di migrazione dell’avifauna, ove vige il divieto di caccia, mentre è esterna, ma contigua, al SIC B03 “Ex alveo del lago di Bientina”.

Lo specchio d’acqua confina a nord con un canale di bonifica ricco di vegetazione palustre; lungo il lato ovest alcune piante di salice sono utilizzate come roost da diverse specie di Ardeidi, in particolare aironi guardabuoi Bubulcus ibis. Lungo il lato est un filare di cipressi Cupressus sempervirens divide l’area dai campi circostanti.

A sud, alle pendici del monte Pisano, è presente un bosco termofilo con prevalenza di cerro Quercus cerris.

Dal punto di vista ornitologico l’area in questione, grazie ai frequenti allagamenti, risulta una delle più interessanti del “padule” del Bientina, in particolare nel periodo invernale, quando vi svernano numerose specie di uccelli acquatici, e all’inizio della primavera, per la consistente presenza di contingenti migratori.

In quest’area vivono circa 3.000 uccelli tra anatre, appartenenti anche a specie rare, svassi e folaghe. La zona ospita anche un ‘dormitorio’ di ardeidi e aironi, dove di sera si concentrano circa 300 tra aironi bianchi maggiori, garzette, aironi guardabuoi e cormorani. E’ quanto emerge dai censimenti degli uccelli delle aree umide coordinati e realizzati dal COT (Centro Ornitologico Toscano) per la Regione Toscana nell’ambito di un programma internazionale di monitoraggio degli uccelli acquatici (IWC – International Waterbird Census), nel gennaio 2012.

Frantoio Sociale Vicopisano

Prende nome dal ruscello (Rio Grifone ) che scorre a lato del frantoio e che fino al secolo scorso faceva girare le sue macine. Le olive, raccolte rigorosamente a mano, sono qui immesse nella modernissima linea di frangitura a freddo ( 26° ), dove si svolgono tutti i passaggi: pesatura; defoliazione; lavaggio; molitura; gramola; decanter “Leopard Pieralisi a 2 fasi”; centrifuga.
Qui si effettuano i controlli rigorosi e continui del livello di acidità, perossidi e polifenoli di ogni lotto: misure indispensabili per rilevare ogni possibile difetto nel prodotto finito. L’ olio extravergine di oliva, è poi filtrato e stoccato in conche di acciaio inox in ambiente protetto e mantenuto a temperatura costante di 18°, fino all’ imbottigliamento appena prima della commercializzazione.

La Veletta

Ristorante Pizzeria di campagna, nei pressi di laghetto per pesca sportiva, lungo il Canale della Serezza. Appena fuori dai centri di Vicopisano e Buti. Ottimo punto di appoggio per le attività cicloturistiche che transitano in zona. Aperti anche a pranzo

La Fabbrica del Carbone

Con le sue strutture lacerate ed i macchinari erosi dalla ruggine, quel luogo è in grado di suscitare un forte potere suggestivo ed evocare sensazioni e riflessioni che trascendono la superficie degli oggetti.

La storia di questo singolare agglomerato di edifici e di vicende umane ha inizio intorno al 1858, quando il proprietario terriero Leopoldo Silvatici prese possesso di un vasto appezzamento agricolo sottostante il colle San Jacopo e costeggiato dal rio Grifone. Conosciuto anche come rio di Lupeta, questo piccolo corso d’acqua, nonostante la sua portata modesta, aveva permesso in quella zona lo sviluppo di piccole attività legate all’acqua e all’energia idrica. Sfruttando questa opportunità, il Silvatici dette il via alla costruzione di un grande fabbricato a pianta rettangolare, di cui ancora oggi è possibile ammirare l’aspetto solido e imponente, destinandolo all’uso di frantoio. Allo scopo di sopperire alle eventuali carenze idriche del modesto rio ed assicurare alla ruota del frantoio un apporto d’acqua costante, vennero realizzate due gore di grande capienza. A queste ne verrà successivamente aggiunta una terza. All’attività del frantoio venne affiancata, dopo qualche anno, quella del mulino, svolta in un’altra ala del medesimo fabbricato. Sin dagli esordi e per tutta la seconda metà dell’800, sia il frantoio che il mulino trasformarono una grande quantità di prodotto, permettendo ai Silvatici di ottenere cospicui profitti. Successivamente, però, la produzione subì un calo sostanziale sino a giungere nei primi anni del ‘900 ad una fase di grave crisi. Nuovi mulini, dotati di tecnologie avanzate, erano infatti stati costruiti nelle aree prospicienti la raccolta, eliminando così per gli utenti l’onere del trasporto: di conseguenza le richieste di molitura e frangitura nei confronti dei Silvatici erano fortemente diminuite. Giuseppe Silvatici, succeduto a Leopoldo, decise di cessare attività così poco redditizie e mise in vendita tutta la proprietà. Il 2 marzo 1934 Nicolo Crastan, comproprietario della nota azienda alimentare pontederese, acquistò il complesso.

Date le scarse probabilità di profitto, Crastan decise di abbandonare l’attività del mulino per intraprenderne un’altra, che in quel momento godeva di una discreta richiesta: la produzione carbonifera. Dovendo far fronte alle mutate esigenze produttive, il nuovo proprietario fece edificare, fra il 1934 ed il 1940, una serie di fabbricati adiacenti al nucleo originario del frantoio. Nacquero in quel momento quei corpi di fabbrica in muratura e con copertura a capanna, adibiti a magazzino, che ancora oggi sorgono lungo i confini della proprietà e ne caratterizzano l’aspetto. Altri manufatti di analoga fattura si trovano sul lato opposto, nei pressi della riva sinistra del rio Grifone. Il frantoio, dotato di ampi volumi, fu riutilizzato in parte come sede degli uffici, in parte come magazzino per lo stoccaggio del carbone. In contrasto stridente col resto dei fabbricati, pur essendone coevi, risultano i due capannoni destinati a contenere i forni impiegati nella nuova produzione. Attraverso uno dei cancelli laterali, ancora oggi è possibile scorgere il loro profilo aguzzo e plumbeo spezzato verticalmente dalle linee nere dei due fumaioli di scarico. In breve tempo, quel frantoio così perfettamente armonizzato con l’ambiente circostante, attraverso una traumatica superfetazione si era trasformato in uno strano groviglio di edifici eterogenei ammassati l’uno a ridosso dell’altro, in totale distonia con i dolci colli di ulivi e cipressi dei Monti Pisani. L’attività si incentrava sulla produzione del carbone vegetale, tramite l’utilizzo della brace prodotta dalla combustione di legna proveniente dai boschi circostanti. Il prodotto era destinato principalmente al riscaldamento domestico, in particolare agli ‘scaldaletto’, al tempo unico conforto durante le stagioni fredde. La produzione carbonifera dei Crastan venne interrotta nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale quando, a seguito degli esiti del conflitto, l’economia italiana subì un tracollo. Durante il periodo bellico l’area venne utilizzata in vari modi. I magazzini antistanti il frantoio furono adibiti ad ‘Ammasso dell’olio e del grano di Vicopisano’, del quale sono tutt’ora visibili i resti dell’insegna. Nella palazzina a destra del frantoio si progettò di trasferire gli uffici della Piaggio da Pontedera, dove la vicinanza con la stazione ferroviaria, bersaglio dei bombardamenti alleati, costituiva un concreto pericolo. L’avanzata alleata e la conseguente cessazione dei bombardamenti fecero venire meno le necessità del trasferimento. Gli uffici non furono terminati e rimasero dismessi. Vennero poi utilizzati come deposito di fortuna.

(da leviedelbrigante.it )

Pieve di S.Maria di Vicopisano

E’ la più antica e la principale delle chiese che si trovavano nelle immediate vicinanze di Vico, ed è l’unica ad essere stata costruita all’esterno delle mura, senza l’orientamento canonico con l’ingresso rivolto ad occidente. Infatti la facciata è rivolta verso una delle porte di ingresso del castello, Porta Maccioni, poi divenuta porta della Rocca. La chiesa è nominata per la prima volta nel 934, ma da questo documento si può capire che esisteva già da qualche tempo.
LA FACCIATA E L’ESTERNO
La costruzione attuale è del XII sec. ed è un esempio ben conservato di Chiesa romanico-pisana caratterizzato da una pianta basilicale con abside unica. La muratura è realizzata in pietra verrucana e la facciata è spartita in due ordini sovrapposti da una cornice orizzontale. Nella parte superiore, decorata da archetti pensili, si apre una bifora. La parte inferiore, dove si aprono tre portali, è arricchita da semicolonne che reggono arcatelle pensili: queste ultime sono sormontate da oculi e racchiudono rombi scolpiti con motivi geometrici e vegetali. In evidenza, alla sommità della lesena di sinistra, un bassorilievo in pietra, databile all’VIII-X secolo, rappresenta probabilmente un episodio evangelico.
La fiancata meridionale, in cui si apre un unico portalino, ha in alto quattro strette monofore, di cui una decorata con un motivo a tralci di vite con foglie. Sia il fianco che l’alzato della navata centrale hanno archetti pensili che racchiudono pietre scolpite e poggiano su peducci decorati con volti umani, figure di animali e motivi naturalistici eseguiti a rilievo. Da notare una serie di iscrizioni medioevali incise nella parte bassa della muratura che denunciano la presenza in antico di un cimitero intorno alla chiesa. La fiancata settentrionale risulta invece priva di decorazioni in quanto a questa si dovevano appoggiare le strutture del chiostro e della casa del pievano. Al XVIII secolo risalgono i prolungamenti delle navate laterali e il campanile.
L’INTERNO
L’interno è suddiviso in tre navate da dodici colonne granitiche con capitelli di varia foggia: quelli medioevali sono in pietra serena; il primo, il terzo e l’ultimo di sinistra sono in marmo scolpito a foglie d’acanto, gli ultimi due poggianti su colonne marmoree scanalate, e provengono da edifici di epoca romana. Due pilastri definiscono la vasta zona presbiteriale dove si trova l’altare maggiore, ricostruito agli inizi del Novecento riutilizzando antichi rilievi con motivi vegetali e zoomorfi, probabilmente appartenenti alla chiesa altomedievale.
LA DEPOSIZIONE DELLA CROCE (SEC. XIII) 
Nell’abside è collocato il maestoso gruppo ligneo della Deposizione, risalente al primo ventennio del Duecento e con evidenti assonanze con l’altra Deposizione presente in Provincia di Pisa, quella di Volterra. Esso costituisce uno dei rari esempi di questa tipologia di sacra rappresentazione, un tempo assai diffusa, l’unico di cui si conserva la quasi totalità delle figure originarie: di restauro sono soltanto le teste degli angeli, alcune parti del San Giovanni e il calice. Sono presenti inoltre tracce dell’antica policromia delle vesti. I personaggi raffigurati sono (da sinistra a destra): la Madonna dolente, Giovanni di Arimatea che raccoglie il corpo del Cristo, il Nicodemo che toglie i chiodi dai piedi e S. Giovanni con in mano il Vangelo. Oltre ad essere uno dei pochi esemplari rimasti è uno tra i più singolari, poiché la figura di Cristo è rappresentata in una maniera inconsueta, fortemente arcuata e nell’atto di cadere, prova che l’artista che realizzò tale opera aveva abbastanza autonomia da distaccarsi da quelli che erano i modelli
consueti, cioè il Cristo ancora inchiodato alla Croce, avvicinandosi a modelli più “gotici”, con una maggiore attenzione alla linea curva e sinuosa, che va a sostituire la linea retta e la rigidità tipica dell’arte romanica.
GLI AFFRESCHI (SEC. XIII)
Le massicce pareti in verrucano conservano frammenti di affreschi duecenteschi, recentemente restaurati. Rappresentano scene tratte dal Vangelo, e testimoniano l’usanza di illustrare le Storie Sacre, per farle meglio comprenderle ai fedeli più rozzi ed illetterat (Biblia Pauperum)i. Il ciclo inizia sulla parete della navata destra, dove si riconoscono le scene della Annunciazione, della Visitazione e della Natività; segue, probabilmente, l’episodio con Erode che ordina la strage degli innocenti. Al di sopra delle scene narrative vi sono motivi decorativi a girali e a riquadri alternati a scacchi; al di sotto, decorazioni a finto drappeggio. Sulla controfacciata, a sinistra sono rappresentate due scene sovrapposte: in alto è riconoscibile il Battesimo di Cristo, al di sotto San Giorgio, il drago e la principessa; a destra le tracce recuperate dal restauro non sono leggibili. Sulla parete della navata destra sono state restaurate due scene: una raffigura forse la Cattura di Cristo, l’altra la Pentecoste. L’intero ciclo terminava con la deposizione lignea che poneva fine alla vicenda terrena di Gesù. Il ciclo di affreschi venne coperto di intonaco tra il XVI e il XVII secolo, quando alle pareti furono addossati i grandi altari in pietra serena tuttora esistenti.
(da Viconet.it)

Rocca del Brunelleschi

La città, fedele alla Repubblica Pisana, difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell’Arno, aveva resistito a nove mesi di assedio nei quali si susseguirono assalti condotti con bombarde, catapulte, torri mobili e arieti, ma alla fine si arrese per fame. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle rive dell’Arno dal quale dominavano i commerci fluviali e il vicino ramo della Via Francigena controllando i flussi dei pellegrini, dei mercanti e le prospere campagne intorno alle pendici del Monte Pisano. Con la caduta nelle mani di Firenze si pensò di rinforzare questa importante conquista per scoraggiare le mire dei vicini. Venne presa la decisione di costruire una fortezza che fosse imprendibile e scoraggiasse le insidie degli eserciti dei Visconti che da lucca minacciavano la Toscana. Il governo fiorentino commissionò al celebre architetto Filippo Brunelleschi il progetto della nuova opera difensiva. La proposta del Brunelleschi risultò subito molto innovativa: alla presentazione di fronte alla commissione governativa della quale faceva parte anche il giovane condottiero Francesco Sforza, grazie a un modello in creta e legno, il celebre architetto convinse tutti per le soluzioni innovative progettate.
Per realizzare la nuova opera l’abitato di Vicopisano fu pesantemente modificato: le chiese e i palazzi che si trovavano nell’area della sommità del colle di Vico furono in buona parte abbattuti. La fortificazione del Brunelleschi incorporò nelle nuove atrutture la pre-esistente Torre di S. Maria (del XII secolo). Quest’ultima fu trasformata nel mastio dell’attuale Rocca. La tipologia della fortezza è ancora medievale, con alte mura merlate poggiate su archetti con piombatoie per gettare pece greca infiammata e olio bollente sugli assalitori. Ma nel complessso difensivo ci sono anche molte innovazioni come l’abbondante uso di ponti levatoi destinati, quando ritirati, ad isolare le varie parti della fortezza nel caso il nemico fosse riuscito a penetrarvi. Per esempio, prima di accedere al cortile della Rocca, si doveva conquistare l’antiporta munita di Ponte levatoio e di fossato. All’interno, in caso di perdita del cortile, i difensori potevano abbattere la scala poggiata su quattro esili archi che collega il cortile col cammino di ronda delle cortine. Se il nemico fosse riuscito a giungere fin sulle cortine, la difesa si sarebbe attestata nella torre: era possibile isolare la torre dal resto della fortificazione ritirando il ponte levatoio che collega il cammino di ronda con l’unico ingresso della stessa. La torre, munita di propria cisterna e deposito di vettovaglie, poteva ancora resistere a lungo.
La soluzione più geniale ideata da Brunelleschi è sicuramente il poderoso muraglione merlato che scende dalla Rocca fino ai piedi del Colle, dove termina con l’alta torre del Soccorso (21 m) edificata nelle vicinanze dell’Arno, che in quel periodo passava proprio sotto le mura di Vicopisano. Come suggerisce il nome della torre questa opera era destinata a evitare l’isolamento in caso di assedio garantendo l’approvvigionamento di viveri, armi e rinforzi via fiume in caso di assedio.
Le barche potevano approdare in una caletta, difesa da fortificazioni oggi scomparse, scaricare uomini e polveri che venivano fatte entrare da uno stretto portello, poi risalivano al secondo piano della torre, per accedere al muraglione e salire alla Rocca. Ma il Brunelleschi aveva pensato a tutto: infatti, se il nemico fosse riuscito a conquistare la Torre del Soccorso e avesse cercato di accedere alla rocca dal muraglione, si sarebbe trovato esposto al tiro d’infilata proveniente dalla Rocca, ma soprattutto avrebbe trovato interrotto il collegamento fra il muraglione e il cammino di ronda delle cortine della Rocca da un’altro ponte levatoio, che apriva un varco di circa tre metri su uno strapiombo di quindici metri. Oggi sulla torre della rocca sventola di nuovo la bandiera pisana, ma non ci sono venti di guerra, soltanto visitatori che si arrampicano fino alla cima della fortezza per ammirare il panorama.
(da leviedelbrigante.it)

I Tre Tigli

Ristorante di paese. Chiuso il Lunedi

Galleria Subalvea del Torrente Visona

Resto del passaggio della Ferrovia Lucca-Pontedera: in questo tratto, il tracciato passava attraverso una galleria sotto il Torrente Visona