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Dettagli Percorso

Lunghezza

8.2km

Difficoltà

E

Durata

2h 30min

Dislivello +

421m

Dislivello -

421m

Quota di partenza

14m

Quota di arrivo

14m

Quota minima

12m

Quota massima

327m

Pieve di S.Jacopo in Lupeta

 L’edificio   fu in origine dedicato a San Mamiliano, come ancora ricorda l’iscrizione  sull’architrave del portale principale. La dedicazione a tale santo è assai particolare, in quanto il suo culto era diffuso soprattutto nella zona dell’Arcipelago Toscano e nell’Alto Lazio, mentre nella nostra zona era del tutto assente. Documentata già nell’VIII sec. era annessa ad un complesso monastico; mentre dal XII secolo è citata come prioria, nel Trecento risultava essere in mano agli Eremitani Agostiniani. Intitolata a San Iacopo nella prima metà del Quattrocento, poco tempo dopo cominciò a decadere a causa delle continue scorrerie e della situazione insicura della zona, causate dalle guerre tra Pisa e Firenze; agli inizi del Cinquecento passò in possesso ai Canonici di Pescia. Nel corso dell’ottocento i resti dell’antico monastero vennero trasformati in una grande casa colonica, poi villa residenziale di proprietà privata.
ESTERNO
La chiesa ha pianta a tau (T) e muratura in conci di calcare cavernoso e verrucano. La facciata a capanna è spartita da una cornice orizzontale: nella parte inferiore il portale è incorniciato da lesene, una delle quali contenente una testa di animale cornuto a rilievo, ed è sovrastato da un ricco architrave decorato a spirali e foglie linguate appartenente con tutta probabilità alla chiesa più antica; in quella superiore si apre una bifora, con ghiera e colonnina marmoree, contornata da vari elementi decorativi, tra i quali spiccano una tarsia a forma di fiore, un bassorilievo ed una pietra scolpita a rilievo figurato, risalente all’VIII-IX secolo, e raffigurante una scena biblica. Attaccato al braccio sinistro del transetto si appoggia il massiccio campanile, simile nella struttura ad una torre difensiva. Il campanile fu abbassato di altezza a seguito di una mina fatta esplodere dai soldati tedeschi in ritirata, nel 1944.
INTERNO
L’interno, a navata unica e privo di abside, è mosso soltanto dai due corti bracci del transetto, collegati da archi a tutto sesto i cui pilastri hanno capitelli riccamente decorati con motivi vegetali e animali. Nel braccio destro sono conservati affreschi trecenteschi, staccati e ricomposti su tavola, raffiguranti alcuni santi; da destra verso sinistra si riconoscono: un Santo Vescovo, forse San Mamiliano, San Giovanni Battista e un frammento di un probabile San Girolamo. Lungo la parete destra sono state raccolte pietre scolpite rinvenute durante i restauri della chiesa: particolarmente significative sono una mensola con motivo a rilievo rappresentante la Dextera Domini (X secolo) e una lastra figurata con una scena simbolica di difficile interpretazione, che secondo alcuni studiosi allude alla Passione di Cristo (IX-X secolo).
LA FESTA DI S. JACOPO
Ogni anno a Vicopisano in occasione della giornata dedicata a S. Giacono o Jacopo (25 luglio) viene celebrata una festa religiosa e popolare, organizzata dalla Parrocchia e da alcune associazioni di volontariato.
La celebrazione che ha carattere sacro si sviluppa generalmente su due giornate durante le quali si tengono funzioni religiose e festeggiamenti popolari. La festa ha il sou clou con una processione religiosa notturna che va dalla Pieve di S. Maria alla Pieve di S. Jacopo, dove i fedeli partecipano alla Messa e dove di solito si tiene un concerto di musica classica.
(da Viconet.it)

La Fabbrica del Carbone

Con le sue strutture lacerate ed i macchinari erosi dalla ruggine, quel luogo è in grado di suscitare un forte potere suggestivo ed evocare sensazioni e riflessioni che trascendono la superficie degli oggetti.

La storia di questo singolare agglomerato di edifici e di vicende umane ha inizio intorno al 1858, quando il proprietario terriero Leopoldo Silvatici prese possesso di un vasto appezzamento agricolo sottostante il colle San Jacopo e costeggiato dal rio Grifone. Conosciuto anche come rio di Lupeta, questo piccolo corso d’acqua, nonostante la sua portata modesta, aveva permesso in quella zona lo sviluppo di piccole attività legate all’acqua e all’energia idrica. Sfruttando questa opportunità, il Silvatici dette il via alla costruzione di un grande fabbricato a pianta rettangolare, di cui ancora oggi è possibile ammirare l’aspetto solido e imponente, destinandolo all’uso di frantoio. Allo scopo di sopperire alle eventuali carenze idriche del modesto rio ed assicurare alla ruota del frantoio un apporto d’acqua costante, vennero realizzate due gore di grande capienza. A queste ne verrà successivamente aggiunta una terza. All’attività del frantoio venne affiancata, dopo qualche anno, quella del mulino, svolta in un’altra ala del medesimo fabbricato. Sin dagli esordi e per tutta la seconda metà dell’800, sia il frantoio che il mulino trasformarono una grande quantità di prodotto, permettendo ai Silvatici di ottenere cospicui profitti. Successivamente, però, la produzione subì un calo sostanziale sino a giungere nei primi anni del ‘900 ad una fase di grave crisi. Nuovi mulini, dotati di tecnologie avanzate, erano infatti stati costruiti nelle aree prospicienti la raccolta, eliminando così per gli utenti l’onere del trasporto: di conseguenza le richieste di molitura e frangitura nei confronti dei Silvatici erano fortemente diminuite. Giuseppe Silvatici, succeduto a Leopoldo, decise di cessare attività così poco redditizie e mise in vendita tutta la proprietà. Il 2 marzo 1934 Nicolo Crastan, comproprietario della nota azienda alimentare pontederese, acquistò il complesso.

Date le scarse probabilità di profitto, Crastan decise di abbandonare l’attività del mulino per intraprenderne un’altra, che in quel momento godeva di una discreta richiesta: la produzione carbonifera. Dovendo far fronte alle mutate esigenze produttive, il nuovo proprietario fece edificare, fra il 1934 ed il 1940, una serie di fabbricati adiacenti al nucleo originario del frantoio. Nacquero in quel momento quei corpi di fabbrica in muratura e con copertura a capanna, adibiti a magazzino, che ancora oggi sorgono lungo i confini della proprietà e ne caratterizzano l’aspetto. Altri manufatti di analoga fattura si trovano sul lato opposto, nei pressi della riva sinistra del rio Grifone. Il frantoio, dotato di ampi volumi, fu riutilizzato in parte come sede degli uffici, in parte come magazzino per lo stoccaggio del carbone. In contrasto stridente col resto dei fabbricati, pur essendone coevi, risultano i due capannoni destinati a contenere i forni impiegati nella nuova produzione. Attraverso uno dei cancelli laterali, ancora oggi è possibile scorgere il loro profilo aguzzo e plumbeo spezzato verticalmente dalle linee nere dei due fumaioli di scarico. In breve tempo, quel frantoio così perfettamente armonizzato con l’ambiente circostante, attraverso una traumatica superfetazione si era trasformato in uno strano groviglio di edifici eterogenei ammassati l’uno a ridosso dell’altro, in totale distonia con i dolci colli di ulivi e cipressi dei Monti Pisani. L’attività si incentrava sulla produzione del carbone vegetale, tramite l’utilizzo della brace prodotta dalla combustione di legna proveniente dai boschi circostanti. Il prodotto era destinato principalmente al riscaldamento domestico, in particolare agli ‘scaldaletto’, al tempo unico conforto durante le stagioni fredde. La produzione carbonifera dei Crastan venne interrotta nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale quando, a seguito degli esiti del conflitto, l’economia italiana subì un tracollo. Durante il periodo bellico l’area venne utilizzata in vari modi. I magazzini antistanti il frantoio furono adibiti ad ‘Ammasso dell’olio e del grano di Vicopisano’, del quale sono tutt’ora visibili i resti dell’insegna. Nella palazzina a destra del frantoio si progettò di trasferire gli uffici della Piaggio da Pontedera, dove la vicinanza con la stazione ferroviaria, bersaglio dei bombardamenti alleati, costituiva un concreto pericolo. L’avanzata alleata e la conseguente cessazione dei bombardamenti fecero venire meno le necessità del trasferimento. Gli uffici non furono terminati e rimasero dismessi. Vennero poi utilizzati come deposito di fortuna.

(da leviedelbrigante.it )

Frantoio Sociale Vicopisano

Prende nome dal ruscello (Rio Grifone ) che scorre a lato del frantoio e che fino al secolo scorso faceva girare le sue macine. Le olive, raccolte rigorosamente a mano, sono qui immesse nella modernissima linea di frangitura a freddo ( 26° ), dove si svolgono tutti i passaggi: pesatura; defoliazione; lavaggio; molitura; gramola; decanter “Leopard Pieralisi a 2 fasi”; centrifuga.
Qui si effettuano i controlli rigorosi e continui del livello di acidità, perossidi e polifenoli di ogni lotto: misure indispensabili per rilevare ogni possibile difetto nel prodotto finito. L’ olio extravergine di oliva, è poi filtrato e stoccato in conche di acciaio inox in ambiente protetto e mantenuto a temperatura costante di 18°, fino all’ imbottigliamento appena prima della commercializzazione.