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Dettagli Percorso

Lunghezza

2.8km

Difficoltà

E

Durata

1h 00min

Dislivello +

207m

Dislivello -

167m

Quota di partenza

1162m

Quota di arrivo

1202m

Quota minima

1096m

Quota massima

1221m

Alpeggio di Puntato

Situata tra i 1000 e i 1100 metri di quota in luogo in  cui convergono i sentieri 11 da Fociomboli e 128 da Tre Fiumi per il Rifugio Del Freo, questa  conca è circondata dai monti Corchia,  Freddone   Pania della Croce e Pizzo delle Saette, che da qui appare nella sua veste più imponente.

Nei secoli passati, e fino agli anni ’80, è stato usato dai pastori della comunità di Terrinca, come testimoniano i vecchi casolari e ruderi della zona ed anche una chiesetta che sorge al centro dell’alpeggio. Alcuni casolari sono stati ristrutturati ed adibiti all’accoglienza di escursionisti e gitanti con posti letto e cucina: la Baita “Il Robbio” che è una piccola azienda agricola, la Baita “Ciampi” e il Rifugio “La Quiete”.

La chiesa del Puntato è dedicata alla SS. Trinità e risale al 1679, vicino c’era una maestà più antica fatta edificare per sua devozione da Francesco Bacchelli con icona marmorea dedicata alla Madonna del Rosario col Bambino e S. Giovani Battista. Dopo lo smantellamento della maestà l’icona fu murata sul muro della chiesa e rubata successivamente nel 1973.

Tana dell’Omo Selvatico

L’ingresso è a 1150 metri, la profondità è 281 metri e lo sviluppo spaziale circa 1400.
La grotta era conosciuta dai valligiani da tempo immemorabile e su di esso avevano creato leggende paurose.
La prima discesa, di poche decine di metri, risale al 1912, una successiva nel 1923 si spinse più avanti, ma solo nel periodo 1929-1930 una spedizione del GSF percorse la grotta per intero.
L’ingresso è un inghiottitoio di dimensioni imponenti nel quale si perde un piccolo corso d’acqua che scende dal Corchia, la grotta consiste in una serie di gallerie e di pozzi.
Il nome deriva da una figura molto diffusa nel folklore locale ed in generale in tutto il mondo.
Peloso, mostruoso, selvaggio ed abitatore di caverne, l’homo selvaticus è un mito che nasce con l’umanità: è il passato ancestrale che non si può dimenticare.
Ad esso si guarda da una parte con nostalgia per quello che si è perduto e dall’altra con disprezzo e senso di superiorità per la civiltà che pensiamo di aver acquisito.
Quindi si guarda ad esso con un misto di paura e di ammirazione ed egli stesso acquista sia valenze positive che negative nell’immaginario collettivo.
Le leggende locali dicono che egli insegnasse ai pastori come utilizzare il latte per fare formaggio e ricotta, ma poi infastidito dalle loro ulteriori richieste se ne tornasse nelle sue grotte.
Comunque altre versioni lo considerano come un essere pericoloso che si aggira per le selve da cui esce per rapire le fanciulle ed è dedito a riti sanguinari e pagani.